Con sentenza n. 13771 depositata il 3 luglio 2015, la Corte di Cassazione, prima sezione civile, ha rigettato il ricorso di un avvocato, avverso la pronuncia con cui era stata respinta la sua opposizione allo stato passivo del Fallimento del titolare di una ditta individuale.
Avverso la pronuncia di secondo grado, l'avvocato lamentava, tra l'altro, la mancata collocazione in privilegio del credito per il contributo integrativo ex art. 11 L. 576/1980, sostenendo come in realtà detto contributo previdenziale avrebbe dovuto essere considerato una parte della sua retribuzione – sia pure destinata all'ente previdenziale – e come tale, rientrante nella previsione dell'art. 2754 c.c.
Nel respingere la censura, la Cassazione ha sostenuto, al contrario, che il contributo ex art. 11 L. 576/1980 non costituisce "retribuzione", nè rientra nella previsione dell'art. 2754 c.c.; norma che (in funzione residuale rispetto all'art. 2753 c.c.) si riferisce piuttosto ai contributi dovuti dal datore di lavoro per le assicurazioni sociali e per gli enti previdenziali in senso lato, e non anche al contributo integrativo in rivalsa dell'avvocato, dovuto alla propria Cassa.
Ha dunque conclusivamente ribadito la Suprema Corte, come ai fini dell'ammissione al passivo fallimentare, i crediti del professionista per il rimborso del contributo integrativo da versarsi alla Cassa di previdenza avvocati (al pari di quelli per rivalsa Iva), hanno una collocazione diversa da quella spettante al credito per le corrispettive prestazioni professionali, atteso che essi non costituiscono semplici accessori di quest'ultimo, ma conservano una loro distinta individualità.
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