La società a responsabilità limitata (SRL), nel diritto commerciale italiano, è una società di capitali dotata di personalità giuridica le cui partecipazioni sono rappresentate da quote. I soci rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti di quanto hanno conferito; per le obbligazioni sociali risponde solo la società nei limiti del suo patrimonio sociale.
Anche se dotata di una autonomia patrimoniale perfetta, per cui vi è una netta ed incolmabile separazione tra la società e la figura del socio, gli accertamenti fiscali emessi nei confronti di quest’ultima esplicano efficacia anche nei confronti dei soci, sulla base del concetto della ristretta base partecipativa.
Nel tempo si sono avute numerosissime sentenze che hanno consolidato l’orientamento a suo tempo espresso e ancora oggi dominante, fissato dalla Sentenza della Corte di cassazione del 13 aprile 2000 n. 3981.
Le società di capitali risultano dotate di una autonoma soggettività tributaria in applicazione della autonomia patrimoniale loro riconosciuta dalla legge. Di conseguenza, gli utili prodotti dalla società concorrono alla formazione del reddito complessivo del socio quando effettivamente distribuiti.
E’ utile precisare che ai dividendi percepiti a partire dal 1° gennaio 2023, da parte di soci persone fisiche non in regime d’impresa - soggetti privati - relativi a partecipazioni qualificate, si applica la ritenuta a titolo imposta o l'imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento. Tali redditi, alla luce della nuova modalità di tassazione, non concorrono più alla determinazione del reddito complessivo del socio poiché non più oggetto di dichiarazione.
Nel nostro ordinamento non è presente alcuna norma che prevede l’estensione dell’accertamento emesso nei confronti di una SRL anche ai relativi soci.
Questa pacifico principio è stato stravolto in presenza di SRL a ristretta base partecipativa.
In particolare, nella sentenza n. 3981/2000, la Suprema corte ha affermato che nel caso di società di capitali, pur non sussistendo – a differenza delle società di persone – una presunzione legale di distribuzione degli utili ai soci, viene generalmente ammesso che l’appartenenza della società ad una stretta cerchia familiare possa fornire, sul piano degli indizi, la prova dell’avvenuta distribuzione.
La correttezza logico-giuridica di tale criterio d’imputazione ai soci degli utili extracontabili di una società di capitali è stata ripetutamente riconosciuta dalla giurisprudenza della Corte, sulla considerazione della “complicità” che normalmente avvince i membri di una ristretta compagine sociale.
Nonostante i numerosi interventi della dottrina, condivisi da diverse Corti di merito, la Corte di Legittimità ha ulteriormente allargato il concetto di ristretta base, ritenendolo valido anche in assenza dell’originario vincolo familiare, fino a sostenere il proprio orientamento anche in presenza di soci persone giuridiche.
Viene definita società a ristretta base partecipativa quella società di capitali la cui compagine è costituita da un numero limitato di soci quasi sempre legati tra loro da un vincolo di parentela e/o affinità.
A tal proposito, in riferimento al numero limitato di soci, non si è ancora in grado di conoscere il numero di soci al cui superamento non torna più applicabile la presunzione oggetto di commento. Su tale aspetto la Corte di cassazione è ondivaga, stabilendo caso per caso.
Le sentenze si fondano su una presunzione semplice di matrice giurisprudenziale che trova il suo terreno fertile nella complicità che normalmente lega un gruppo ristretto di soci, ritenuta dai Giudici di Legittimità sufficientemente idonea ad innescare i c.d. accertamenti a cascata in capo ai soci.
Il presupposto in base al quale è da ritenersi legittimo presumere che vengano distribuiti ai soci gli utili extracontabili accertati alla società di capitali a ristretta base azionaria, è ravvisabile fisiologicamente nella stessa tipologia di società caratterizzata da un numero esiguo di soci compartecipi nonché dall’imprescindibile vincolo di solidaristico esistente tra loro.
Pertanto, la ridotta compagine sociale che da sempre caratterizza questa tipologia di società a ristretta base, rappresenta una peculiarità che legittima la presunzione vantata dall’ufficio impositore in ordine alla possibile o meglio più che probabile distribuzione tra i soci stessi di utili extracontabili riconducibili alla società.
La presunzione è un istituto giuridico del diritto italiano. È definita come la conseguenza che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignoto.
Il giudice non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti.
Dunque, non si tratta di una libertà di apprezzamento senza limiti. La legge esige, infatti, una particolare cautela nel lasciare entrare nel processo le regole di esperienza con le quali dedurre da fatti noti i fatti ignoti.
Le considerazioni esposte evidenziano che nel caso di cui si discute si è al cospetto di una presunzione semplice non solo priva dei requisiti previsti dalla legge, ma anche del fatto ignoto dal quale poi scaturiscono gli accertamenti ai soci di SRL.
Difatti, si è in presenza di una doppia presunzione, ossia di una presunzione di secondo grado vietata dalla legge, non potendosi trarre il fatto ignoto da altro fatto – a propria volta ignoto – ritenuto sussistente in via di esclusiva deduzione logica.
L’accertamento tributario soggiace alle disposizioni generali in tema di onere della prova, salvo che la legge tributaria disponga l’individuazione di circostanze che possano assumere la veste di fonte di presunzione.
L’esercizio del potere di accertamento non può prescindere, da parte dell’Amministrazione finanziaria, da una adeguata istruttoria finalizzata a fornire puntuale dimostrazione dei rilievi formulati a carico del contribuente, fondata su elementi probatori certi ed obiettivi e non meramente indiziari, deduttivi e/o presuntivi.
Il divieto di doppia presunzione (praesumptio de praesumpto) vieta la correlazione di una presunzione semplice con altra presunzione semplice come nel caso di distribuzione di utili extracontabili tra i soci.
La Corte di cassazione ha sempre sostenuto che la presunzione semplice applicabile agli accertamenti nei confronti dei soci di società a ristretta base non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché, il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi accertati nei confronti della società, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà che porta ciascuno dei soci a conoscere attraverso un reciproco controllo gli affari dell’attività societaria.
A seguito della ricezione di un avviso di accertamento avente ad oggetto la percezione di utili extracontabili il contribuente è stato chiamato a dimostrare la sua estraneità alla contestazione mossa dall’ufficio.
L’unica prova che il socio può fornire è una prova negativa, dimostrando di essere completamente estraneo alle contestazioni mosse e di non aver finanziariamente percepito alcuna somma in relazione ai presunti utili derivanti dall’accertamento emesso nei confronti della società.
Potrà, inoltre, dimostrare che i rapporti con gli altri soci, ed in particolare con l’organo gestorio, non erano tali da poter rendere possibile la conoscenza di somme non oggetto di contabilizzazione e della loro successiva ripartizione.
In assenza della prova contraria fornita dal contribuente, la Corte di cassazione ha ritenuto legittimamente applicabile la presunzione di distribuzione di utili extracontabili.
Restando in tema di prova contraria, si ritiene utile segnalare che questa viene richiesta anche in ipotesi estreme, non dimostrabile, con notevoli difficoltà per i soci.
Trattandosi di imputazione ai soci non normativamente definita occorre rilevare che il confine delle rettifiche in capo alla società trasferibili ai soci si è allargato, facendovi rientrare, non solo quelle in cui vengono contestati maggiori ricavi o costi per operazioni inesistenti, ma anche, in alcuni casi, gli importi derivanti dalle rettifiche legate alla deduzione dei costi e disciplinati dal reddito d‘impresa, di cui al TUIR (DPR n. 917/86).
L’avviso di accertamento notificato al socio di SRL a ristretta base trova la sua fonte nell’avviso di accertamento notificato alla società.
Questo concetto è stato stabilito dalla Corte di cassazione con la sentenza 7756 del 22 marzo 2024, con cui è stato accolto il ricorso della contribuente.
Nella sentenza emessa dalla Corte è stato precisato che una volta annullato l’accertamento alla SRL a ristretta base partecipativa, con sentenza passata in giudicato per il mancato rispetto del contraddittorio preventivo e perché infondato nel merito, va annullato anche il conseguente avviso di accertamento al socio.
Inoltre, nel merito, è stato affermato che "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, la validità dell’avviso in ordine a ricavi non contabilizzati, emesso a carico di società di capitali a ristretta base partecipativa, costituisce presupposto indefettibile per legittimare la presunzione di attribuzione ai soci degli eventuali utili extracontabili accertati, con la conseguenza che l’annullamento dello stesso con sentenza passata in giudicato per vizi attinenti al merito della pretesa tributaria, avendo carattere pregiudicante, determina l’illegittimità dell’avviso di accertamento, notificato al singolo socio, che ipotizzi la percezione di maggiori utili societari".
La sentenza ha precisato, da ultimo, che tale conseguenza non si rinviene nelle ipotesi di annullamento per vizi del procedimento (nella specie per inesistenza della notifica e per errata intestazione dell’avviso), le quali danno luogo ad un giudicato formale, e non sostanziale, mancando una pronuncia che revochi in dubbio l’accertamento sulla pretesa erariale.
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