E’ da ritenere illegittimo un diniego alla sospensione condizionale della pena fondato sul rilievo che la prosecuzione dello stato di detenzione favorirebbe un percorso virtuoso di revisione critica della pregressa condotta criminale, che, per contro, verrebbe impedito con la concessione del beneficio.
Difatti, la sospensione condizionale può essere negata solamente se il giudice, con riguardo alle circostanze indicate nell’articolo 133 del Codice penale, presuma che il colpevole non si asterrà dal commettere ulteriori reati.
In detto contesto, il giudizio prognostico negativo sul diniego di concessione del beneficio, può essere anche desunto dall’indicazione di uno o più elementi richiamati nel citato articolo 133, ritenuti prevalenti in senso ostativo alla concessione stessa.
Questo, tuttavia, a patto che l’organo giudicante dia conto, con motivazione adeguata, di tale prevalenza, dovendosi il giudizio prognostico risolversi in una sintesi che prenda in considerazione i criteri previsti come rilevanti con quelli ritenuti prevalenti.
E detto giudizio deve essere “logicamente ed adeguatamente motivato” al fine di permettere il controllo sull’uso del potere discrezionale esercitato dal giudice di merito.
Poiché, infine, il beneficio della “non menzione” della condanna e quello della concessione della sospensione condizionale della pena hanno natura e scopi diversi, deve considerarsi affetta da vizio di motivazione la decisione in cui non siano state indicate le ragioni di diniego del primo beneficio in quanto ritenuto assorbito dalle ragioni indicate per negare il secondo.
Sono questi i principi di diritto espressi dalla Terza sezione penale di Cassazione con sentenza n. 42737 depositata il 10 ottobre 2016.
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