In tema di risarcimento del danno da diffamazione a mezzo stampa, non è necessario che il soggetto passivo sia precisamente e specificamente nominato purché la sua individuazione avvenga, in assenza di esplicita indicazione nominativa, attraverso tutti gli elementi della fattispecie concreta (quali le circostanze narrate oggettive e soggettive, i riferimenti personali temporali e simili), desumibili anche da fonti informative di pubblico dominio al momento della diffusione della notizia offensiva; ovviamente, se la situazione di fatto sia tale da consentire al pubblico di riconoscere con ragionevole certezza la persona cui la notizia è riferita.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, respingendo il ricorso di uno scrittore e della casa editrice, convenuti in giudizio da un giornalista professionista di un quotidiano, che adduceva di essere stato leso nella propria reputazione professionale e personale, per aver il predetto editore pubblicato un libro recante affermazioni diffamatorie nei suoi confronti.
Ebbene nel caso di specie – secondo gli Ermellini – correttamente la Corte di merito ha ritenuto sussistere l’elemento oggettivo del reato di diffamazione, in ragione della ritenuta identificabilità del soggetto passivo, ritenendo ossia che il lettore medio ben avrebbe potuto risalire, in base alla sola lettura del libro, alla persona del giornalista.
Esclusa, parimenti, l’invocata scriminante del diritto di critica. Sul punto, la Corte Suprema – con ordinanza n. 25420 del 26 ottobre 2017 - rammenta che il diritto di critica non si concreta, come quello di cronaca, nella mera narrazione veritiera dei fatti, ma si esprime in un giudizio che, come tale, non può che essere soggettivo rispetto ai fatti stessi. Ciò non toglie, tuttavia che il fatto presupposto ed oggetto della critica deve corrispondere a verità, sia pure non assoluta ma ragionevolmente putativa per le fonti da cui proviene o per altre circostanze oggettive (analogamente al diritto di cronaca).
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