Fallimento: la notifica all'indirizzo PEC della società debitrice è comunque valida anche se il legale rappresentante non ha più aperto la posta elettronica certificata della Srl, da anni inattiva.
L’imprenditore, tenuto per legge a munirsi di un indirizzo PEC, ha l’onere di assicurarsi del corretto funzionamento della propria casella postale certificata - anche utilizzando dispositivi di vigilanza e di controllo, dotati di misure anti intrusione - e di controllare prudentemente la posta in arrivo, ivi compresa quella considerata dal programma gestionale utilizzato come "posta indesiderata".
Le notifiche effettuate via PEC, infatti, sono da ritenersi valide anche se il contenuto è finito nella cartella di “Spam” o anche se il messaggio non viene letto, essendo onere del destinatario il controllo dei messaggi arrivati.
I principi sono stati richiamati dalla Corte di cassazione nel testo dell'ordinanza n. 7083 del 3 marzo 2022, pronunciata in rigetto del ricorso promosso da una Srl contro la decisione con cui la Corte d’appello aveva confermato la relativa dichiarazione di fallimento.
La Corte territoriale, in particolare, aveva ritenuto che la notifica all’indirizzo PEC della società debitrice - rimasta contumace in primo grado - si fosse ritualmente perfezionata ai sensi dell’art. 15, comma 3 della Legge fallimentare, non potendo ritenersi nulla solo perché il legale rappresentante della società non aveva provveduto a visionarla in quanto la società medesima versava da anni in stato di inattività.
La ricorrente, ciò posto, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale del richiamato art. 15, comma 3, per asserito contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, in quanto, a suo dire, il meccanismo di notificazione speciale e semplificata violerebbe il principio di uguaglianza e il diritto di difesa.
Nel caso esaminato, in particolare, era stato dedotto che il legale rappresentante della società, inattiva dal 2009, non era a conoscenza dell’esistenza della PEC attribuita alla società, la quale era stata richiesta ed utilizzata dal commercialista che curava l’amministrazione e la contabilità della medesima.
Il motivo è stato giudicato infondato dalla Cassazione, la quale ha ricordato di essersi già ampiamente e condivisibilmente pronunciata nel senso della manifesta infondatezza della rilevata questione di legittimità costituzionale.
Per come precisato dalla Corte - si legge nella decisione - "le esigenze di contemperamento tra il diritto di difesa e gli obiettivi di speditezza e operatività, ai quali deve essere improntato il procedimento concorsuale, giustificano che il tribunale resti esonerato dall'adempimento di ulteriori formalità, ancorché normalmente previste dal codice di rito, allorquando la situazione di irreperibilità dell'imprenditore debba imputarsi alla sua stessa negligenza o a condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico".
Sul punto, è stato anche rammentato che "il novellato art. 15, comma 3, l.fall., nel prevedere che la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento alla società può essere eseguita tramite PEC all’indirizzo della stessa – e, in caso di esito negativo, presso la sua sede legale come risultante dal registro delle imprese, oppure, qualora neppure questa modalità sia andata a buon fine, mediante deposito dell'atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro – introduce una disciplina speciale semplificata, che coniuga la tutela del diritto di difesa del debitore con le esigenze di celerità e speditezza intrinseche al procedimento concorsuale, escludendo peraltro l’applicabilità della disciplina ordinaria prevista dall’art. 145 c.p.c. per le ipotesi di irreperibilità del destinatario della notifica".
Del resto, risulta ormai consolidato l'indirizzo secondo cui, anche alla società già cancellata dal registro delle imprese, il ricorso per la dichiarazione di fallimento può, entro l’anno successivo alla cancellazione, essere notificato all'indirizzo PEC in precedenza comunicato al registro delle imprese.
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