Il verbale ispettivo può imporre al datore di lavoro un diverso inquadramento dei dipendenti: questo quanto affermato nella sentenza n. 2778 del 21 marzo 2024 con cui il Consiglio di Stato ha esaminato la natura del provvedimento di disposizione dell’Ispettorato del lavoro.
Prima di entrare nel vivo della questione, vediamo in che si sostanzia questo provvedimento che, con efficacia esecutiva, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004 può essere adottato dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale.
Nell’ambito delle prerogative degli ispettori del lavoro, il potere di disposizione è disciplinato dall’art. 14 del d. lgs. n. 124/2004, come novellato dall’art. 12 bis del decreto legge n. 76/2020, che prevede che “il personale ispettivo dell’Ispettorato nazionale del lavoro può adottare nei confronti del datore di lavoro un provvedimento di disposizione, immediatamente esecutivo, in tutti i casi in cui le irregolarità rilevate in materia di lavoro e legislazione sociale non siano già soggette a sanzioni penali o amministrative”.
Scopo della modifica operata dal decreto legge n. 76/2020 è stato semplificare l’esercizio del potere ispettivo, ampliando la possibilità di garantire una tutela sostanziale ai lavoratori e fornendo un appoggio legislativo più puntuale rispetto alla disciplina previgente.
L’originario art. 14, infatti, prevedeva in modo laconico che “le disposizioni impartite dal personale ispettivo in materia di lavoro e di legislazione sociale, nell’ambito dell’applicazione delle norme per cui sia attribuito dalle singole disposizioni di legge un apprezzamento discrezionale, sono esecutive”.
NOTA BENE: La mancata ottemperanza della disposizione comporta l'applicazione della sanzione amministrativa da 500 euro a 3.000 euro, non trovando altresì applicazione la procedura premiale della diffida prevista dall'art. 13, co. 2 del D.Lgs. n. 124/2004.
Tornando alla sentenza n. 2778 del 21 marzo 2024, il Consiglio di Stato si è pronunciato sul provvedimento di disposizione con cui l’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Udine-Pordenone ha disposto l’inquadramento di alcuni dipendenti ad altro livello rispetto a quello operato dal datore di lavoro.
Il provvedimento è stato poi impugnato dal Patronato Inas Cisl in via gerarchica e sul ricorso si è formato il silenzio gravato, unitamente al Verbale, dinanzi al TAR del Friuli Venezia Giulia.
Il Patronato ha dedotto l’illegittimità del provvedimento di disposizione per vizi procedurali, essendo stata l’ispezione conclusa oltre il termine massimo di durata del procedimento amministrativo e di ragionevole durata dell’accertamento ispettivo, l’assenza di adeguata motivazione che non consente l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito nel procedimento ispettivo, nonché l’omessa indicazione puntuale delle fonti di prova, con lesione, ancora una volta, del diritto costituzionale di difesa.
Ha infine, e questo è il punto fondamentale, affermato l’erroneità dell’inquadramento disposto dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Udine e di Pordenone.
Con sentenza 18 maggio 2021, il Tar Friuli Venezia Giulia ha accolto il terzo motivo di ricorso e ha annullato i provvedimenti impugnati, escludendo che il tipo di violazione contestata, ovvero l’inquadramento dei lavoratori in una categoria contrattuale diversa da quella asseritamente spettante in forza delle mansioni esercitate, secondo il Ccnl applicabile, rientri tra le irregolarità in materia di lavoro e legislazione sociale che possono essere contestate dall’Ispettorato nell’esercizio del potere di disposizione ex D.Lgs. n. 124/2004.
Nel caso sottoposto all’esame del Collegio l’irregolarità rilevata dagli Ispettori del lavoro attiene all’inquadramento di lavoratori del Patronato Inas Cisl ad una categoria contrattuale diversa da quella asseritamente spettante in considerazione delle mansioni esercitate.
Il Collegio ritiene di non condividere le conclusioni alle quali è pervenuto il giudice di primo grado in ordine all’ambito di estensione del potere conferito agli Ispettori del lavoro dall’art. 14, d.lgs. n. 124 del 2004.
In primo luogo, infatti, il tenore letterale della norma individua espressamente i limiti dei “poteri di disposizione” ai casi in cui le irregolarità siano già oggetto di previsioni sanzionatorie.
Il precedente art. 13 individua invece, al comma 2, anche in positivo le norme di legge o del contratto collettivo la cui violazione porta ad infliggere la sanzione ai sensi del comma 3, mentre l’art. 14 fa riferimento alla materia di lavoro e legislazione sociale alla quale la disposizione si applica; nonostante tale diversa tecnica redazionale, il Consiglio di Stato ritiene che anche l’art. 14 si riferisca alle norme della legge o del contratto collettivo atteso che il decreto, laddove abbia inteso delimitare il proprio ambito di applicazione, lo ha chiarito espressamente, con la conseguenza che nel silenzio della disposizione pare poter estendere ai poteri di disposizione nelle materie di lavoro e legislazione sociale lo stesso ambito di applicazione dei poteri di diffida dell’art. 13.
Non sembra ostare a tale conclusione la circostanza - sulla quale il Tar fonda una delle ragioni della reiezione del ricorso - che l’art. 14 faccia riferimento alle irregolarità, termine con il quale, sempre secondo il giudice di primo grado, si definisce una difformità rispetto alla fattispecie legale priva di espressa sanzione giuridica, mentre il non corretto inquadramento di un lavoratore dà luogo ad un “inadempimento” ad un obbligo sancito dall’art. 2103 c.c., a fronte del quale la stessa norma introduce una forma di tutela (“…trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione diviene definitiva”).
Il Collegio rileva dunque che l’art. 14 ha inteso introdurre nell’ambito di operatività dei provvedimenti di disposizione anche le violazioni dei contratti e accordi collettivi di lavoro, esprimendo così una valutazione dell’esigenza di una piena ed effettiva applicazione degli stessi tale da meritare attenzione a livello amministrativo.
Non sono neanche condivisibili le argomentazioni che si basano sulle ragioni di opportunità che, ad avviso del giudice di primo grado, dovrebbero indurre ad escludere dal campo di applicazione dell’art. 14 le irregolarità nell’applicazione dei Ccnl; il fatto che sulla stessa questione intervenga il giudice amministrativo (sull’impugnazione proposta dal datore di lavoro per l’annullamento del provvedimento di disposizione) decidendo sulla questione lavoristica che ne è alla base, nonché il giudice del lavoro (sull’impugnazione proposta dal lavoratore che, nonostante la reiezione del ricorso sul provvedimento di disposizione, non ha avuto tutela) porterebbe, al più, a dubitare della giurisdizione del giudice amministrativo sul Provvedimento di disposizione, giurisdizione, invece, ammessa dallo stesso Tar Friuli Venezia Giulia.
Accertato dunque che erroneamente la sentenza del Tar Friuli Venezia Giulia del 18 maggio 2021 ha ritenuto di escludere dal campo di applicazione dell’art. 14, del D.lgs. n. 124 del 2004 la violazione da parte del datore di lavoro dei contratti collettivi, il Collegio accoglie il ricorso di primo grado proposto dall’Ispettorato del lavoro.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".