Le Sezioni Unite Civili della Cassazione hanno depositato, l’11 luglio 2018, l’attesa sentenza sul criterio di riconoscimento dell’assegno di divorzio.
E’ dunque arrivato l’intervento chiarificatore che era stato sollecitato dall’allora primo Presidente della Suprema corte, Giovanni Canzio, per risolvere il contrasto di giurisprudenza esistente in materia, alla luce della innovativa sentenza n. 11504/2017 (sentenza “Grilli”) che ha sancito l’abbandono del consolidato orientamento che parametrava l’assegno divorzile al “tenore di vita” dei coniugi.
In primo luogo, gli Ermellini, hanno precisato la funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa dell’assegno di divorzio.
A seguire, hanno sancito che il relativo riconoscimento, ai sensi dell’articolo 5, comma 6, della Legge n. 898/1970, dopo le modifiche introdotte con la Legge n. 74/1987, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma, criteri che costituiscono il parametro cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione.
In particolare – ha precisato la Cassazione nella sentenza n. 18287 depositata l’11 luglio 2018 – va operata una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, dando rilievo al contributo fornito dall’ex coniuge richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
Così - hanno continuato le Sezioni Unite - in caso di domanda di assegno da parte dell’ex coniuge economicamente debole, il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive, essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata, degli indicatori contenuti nella prima parte dell’articolo 5, comma 6 citato (ossia delle condizioni dei coniugi, delle ragioni della decisione, del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, del reddito di entrambi, valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio).
Indicatori, questi, definiti “rivelatori” della declinazione del principio di solidarietà, posto a base del giudizio relativistico e comparativo di adeguatezza.
L’adeguatezza, infatti, in questo contesto, assume un contenuto prevalentemente perequativo-compensativo che non può limitarsi né a quello strettamente assistenziale né a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti.
Il criterio prescelto è, quindi, un criterio integrato: assunto come punto di partenza il profilo assistenziale, questo criterio deve poi essere calato nel “contesto sociale” del coniuge richiedente, formato da condizioni strettamente individuali e da situazioni che sono conseguenza della relazione coniugale, specie se di lunga durata e specie se caratterizzata da uno squilibrio nella realizzazione personale e professionale fuori nel nucleo familiare.
Il profilo assistenziale deve, pertanto, essere contestualizzato con riferimento alla situazione effettiva nella quale si inserisce a fase di vita post matrimoniale, in particolare in chiave perequativa-compensativa: il criterio attributivo e quello determinativo, così, non sono più in netta separazione ma si coniugano nel cosiddetto criterio assistenziale-compensativo, essendo entrambi finalizzati a ristabilire una situazione di equilibrio che con lo scioglimento del vincolo matrimoniale era venuta a mancare.
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