Con sentenza n. 44010 depositata il 2 novembre 2015, la Corte di Cassazione, terza sezione penale, accogliendo il ricorso di un Istituto di credito, ha revocato il sequestro su somme di denaro – disposto in relazione alle indagini nei confronti di un correntista per il reato di cui all'art. 10 ter D.Lgs. 74/2000 – anteriormente costituite in pegno a favore della stessa Banca ricorrente.
Nel ricorso, in particolare, la Banca si doleva del fatto che il Tribunale non avesse adeguatamente motivato il rigetto della propria istanza di riesame, volta alla revoca/annullamento/inefficacia del sequestro di fatto eseguito nei suoi confronti, in quanto terzo creditore.
Nell'accogliere la censura, la Cassazione ha affermato il principio per cui, al giudice che sequestra o, in caso di ricorso, a quello del riesame, compete sempre valutare se sia il caso di limitare il vincolo, scindendo la posizione del creditore rispetto a quella dell'indagato, ai fini dell'efficacia della cautela.
Non corrisponde dunque al costante insegnamento giurisprudenziale – ha sentenziato la Suprema Corte – l'asserto di cui alla pronuncia impugnata, per cui è sempre necessario dare prevalenza all'interesse pubblico, anche se il terzo (nella specie la Banca creditrice) ne subisce conseguenze pregiudizievoli.
Quello che il giudice avrebbe dovuto operare, invero, non è un automatico e totale assoggettamento della Banca all'interesse pubblico, bensì un bilanciamento tra quest'ultimo e l'interesse privato della ricorrente medesima.
L'interesse pubblico presidiato dal diritto penale e dalle approntate cautele cautelari, in effetti, non può essere inteso come una sorta di inevitabile ed incontenibile rischio rispetto agli interessi privati, nel senso che la sussistenza di detto interesse pubblico estingua senza alcuna valutazione del caso concreto, l'interesse del privato, anche qualora ne sia titolare un soggetto (come nella specie) in buona fede e del tutto estraneo alla condotta criminosa presupposta.
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