La Quinta sezione penale della Cassazione ha annullato la decisione di conferma di un sequestro preventivo disposto dal Gip nei confronti dell’intero complesso aziendale e delle quote societarie di una Srl.
Il provvedimento era stato comminato nell’ambito di un’indagine a carico degli amministratori della società, in considerazione della ritenuta sussistenza di diversi reati, compresa la fattispecie del trattamento illecito di dati ex articolo 167, comma 3, del Decreto legislativo n. 196/2003, asseritamente commessi nell’ambito di un contratto con cui la Srl aveva noleggiato alla Procura la strumentazione necessaria all’attività di intercettazione svolta da quest’ultimo ufficio.
In particolare, si contestava la violazione, dolosa e in frode alla Pa, delle disposizioni contrattuali relative al servizio di noleggio, l’utilizzazione, nelle attività di intercettazione, di un applicativo gestionale fornito da una società estranea al contratto nonché l’omessa adozione di qualsiasi cautela atta ad inibire a terzi la conoscenza dei dati captati.
La Cassazione, con sentenza n. 45375 del 7 novembre 2019, ha ritenuto fondato il motivo di doglianza con cui la società aveva lamentato la sproporzione del provvedimento di sequestro rispetto alle finalità di cautela connesse alla medesima misura.
Gli Ermellini, sul punto, hanno ricordato che il sequestro preventivo è legittimo qualora sia rispettato il principio di proporzione tra esigenze generali di prevenzione e salvaguardia dei diritti fondamentali dell’individuo: in difetto – ha precisato la Corte - si determina la violazione delle norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei principi costituzionali.
La Suprema corte ha quinti rammentato che i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità, dettati dall’articolo 275 c.p.p. per le misure cautelati personali, sono applicabili anche alle misure cautelari reali, dovendo costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice.
Nelle ipotesi in cui la misura cautelare reale trovi applicazione, quindi, l’organo giudicante è tenuto a motivare adeguatamente sulla impossibilità di conseguire il medesimo risultato con una meno invasiva misura interdittiva.
E a tali principi non si era conformato – a detta della Corte di legittimità – il giudice del riesame, posto che aveva proceduto con il sequestro preventivo senza minimamente argomentare riguardo alla necessità di procedere con tale cautela né spiegare quale funzione avrebbe avuto il sequestro delle quote societarie e di tutti i beni strumentali riferibili ad un’impresa che, come nella specie, era in piena attività e che effettuava prestazioni di vario contenuto anche a favore di soggetti pubblici.
Il provvedimento di sequestro, in definitiva, è stato annullato, con rinvio al giudice a quo per un nuovo esame della vicenda.
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