Va riconosciuto il diritto di cittadinanza ad una donna straniera sposata con un cittadino italiano qualora vengano rispettate le condizioni dettate dall’articolo 5 della Legge 91/1992, anche in ordine ai più rigorosi limiti contenuti nella novella introdotta dalla legge n. 94/2009, che sia intervenuta nel corso del giudizio volto al riconoscimento.
Ed è irrilevante, in questo contesto, l’eventuale separazione di fatto nel frattempo intervenuta tra lei e il coniuge.
Difatti, la legge di riferimento richiede una condizione ostativa ben diversa, ossia la separazione personale giudizialmente accertata, mentre la separazione di fatto ha un carattere di minore stabilità di quella legale.
Non può quindi desumersi, dalla chiara dizione normativa, la sussistenza di un requisito diverso da quello espressamente indicato ed avente un significato giuridico univoco.
Sono queste le conclusioni rese dalla Corte d’appello, per come confermate anche dalla Corte di cassazione nell’ambito di una controversia in cui il ministero degli Interni si era opposto al riconoscimento della cittadinanza alla richiedente, una donna tunisina sposata con un italiano, proprio sulla considerazione dell’intervenuta separazione di fatto con il marito.
Con la sentenza n. 969 del 17 gennaio 2017, la Prima sezione civile di Cassazione ha aderito alla pronuncia dal giudice di secondo grado, fondata sulla non assimilabilità delle due fattispecie, ed ossia separazione personale e separazione di fatto.
Per la Suprema corte, le condizioni ostative previste dall’articolo 5 della Legge 91/92 non possono essere fondate su clausole elastiche, ma su requisiti di natura esclusivamente giuridica, predeterminati e non rimessi ad un accertamento di fatto dell’autorità amministrativa.
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