Con sentenza n. 229 depositata l'11 novembre 2015, la Corte Costituzionale – su istanza del Tribunale ordinario di Napoli nell'ambito di un processo penale a carico di alcuni medici – ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'art. 13 comma 3 Legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui vieta, sanzionandola penalmente, la condotta selettiva del sanitario, volta esclusivamente ad evitare il trasferimento nell'utero della donna di embrioni che, a seguito di diagnosi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche trasmissibili, rispondenti ai criteri di gravità di cui all'art. 6 comma 1 Legge 194/1978.
Ciò, con riferimento alla recente pronuncia della medesima Consulta (n. 96/2015) – alla cui motivazione nel caso di specie si rinvia, rispondendo ad analoga logica - ove si è proceduto alla declaratoria di incostituzionalità degli artt. 1 comma 1, 2 e 4 comma 1 della stessa Legge n. 40/2004, nella parte in cui non si consente il ricorso alle tecniche di procreazione assistita alle coppie fertili portatrici di malattie genetiche trasmissibili, rispondenti al criterio di gravità di cui all'art. 6 Legge 194/1978.
Respinta invece l'ulteriore questione di legittimità sollevata, circa l'art. 14 comma 1 e 6 Legge n. 40/2004, poichè – a parere della Consulta – non risulta censurabile (in quanto non confliggente con il profilo di ragionevolezza) la scelta del legislatore del 2004 di vietare e sanzionare penalmente la "soppressione" degli embrioni, ove pur riferita ad embrioni che, ad esito di analisi preimpianto, siano risultati affetti da malattie genetiche.
La sola malformazione non ne giustifica, di per sè, un trattamento deteriore rispetto agli embrioni sani. Si prospetta, infatti, l'esigenza di tutelare la dignità dell'embrione che, qualunque ne sia, allo stato, il grado di soggettività riconosciuto in correlazione alla genesi della vita, non è comunque riconducibile a mero materiale biologico.
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