Se la persona avveduta è tratta in inganno anche la falsificazione grossolana configura reato
Pubblicato il 24 luglio 2010
La Corte di cassazione, con sentenza n. 29016 del 23 luglio 2010, ha dichiarato inammissibili i ricorsi presentati da due uomini che erano stati condannati dai giudici di merito per ricettazione e contraffazione dei marchi.
I ricorrenti lamentavano che la decisione di appello, riportandosi per relationem alla sentenza di primo grado, non si era pronunciata sulla grossolanità del falso, da loro eccepita tra i motivi di appello e in considerazione della quale sarebbe venuto meno il reato presupposto con la conseguente non punibilità delle ricettazione.
I giudici di legittimità, dichiarando inammissibili i ricorsi perché basati su motivi non consentiti in sede di legittimità, hanno sottolineato come “in tema di commercio di prodotti con segni falsi, perché il falso possa essere considerato innocuo e grossolano, e dunque, perché il reato possa essere ritenuto impossibile, occorre che le caratteristiche intrinseche del prodotto e del marchio che con esso si identifica siano tali da escludere immediatamente la possibilità che una persona di comune avvedutezza e discernimento possa essere tratta in inganno : tale giudizio va effettuato con criteri che consentano una valutazione “ex ante” della riconoscibilità “icto oculi” della grossolanità della falsificazione”.