Le modifiche intervenute in tema di sanzioni tributarie, ex Dlgs n. 158/2015, non portano direttamente alla illegalità delle sanzioni applicate, più onerose, in quanto non operano in maniera generalizzata come “favor rei”.
Lo specifica la Corte di cassazione nell’ordinanza n. 16625 del 25 giugno 2018, occupandosi di un accertamento basato sul redditometro a carico di un contribuente, al quale era stata contestata una presunzione legale di maggior reddito. L’accertato ha contestato sia le violazioni in materia di onere della prova che la mancata riduzione delle sanzioni, in violazione del principio del “favor rei”, per essere intervenuto il Dlgs n. 158/2015.
I giudici di piazza Cavour ricordano, per quanto attiene all’onere della prova, che, in caso di accertamento sintetico, se il contribuente afferma che la spesa sostenuta deriva da altri redditi percepiti, è onerato dal fornire la prova sia della disponibilità di detti redditi che dell’entità e della durata del possesso.
Inoltre, quando viene contestato il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, il contribuente deve dimostrare non solo la disponibilità di redditi ovvero di redditi esenti o di redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta, ma anche che la spesa per incrementi patrimoniali è avvenuta proprio con tali redditi e non con altri redditi dichiarati.
Circa la violazione del principio del “favor rei”, la Corte ha sostenuto che le modifiche avvenute in materia di sanzioni tributarie per mano del Dlgs n. 158/2015 non operano in maniera generalizzata in quanto è da escludere che la sola deduzione, in sede di legittimità, di uno jus superveniens più favorevole, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto, possa portare alla cassazione della sentenza impugnata.
Il ricorso deve quindi essere totalmente rigettato.
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