La pubblicazione della circolare n. 6/2019 dell’Agenzia delle Entrate, recante le istruzioni per la definizione agevolata delle liti pendenti, di cui all’articolo 6 del Dl n. 119/2018, ha suscitato non pochi dubbi per gli interessati. Molti professionisti, dunque, si sono già attivati per richiedere una specifica assistenza da parte degli uffici dell’Amministrazione finanziaria.
In primo luogo, la circolare dell’Agenzia delle Entrate non prevede l’aiuto degli uffici nella determinazione degli importi che i contribuenti devono versare, aprendo la strada ad una questione molto delicata, in quanto la normativa non prevede il principio dell’errore scusabile.
Nello specifico, però, se da una parte non è previsto l’errore scusabile, dall’altra, l’Agenzia ha indicato espressamente che per la definizione dei Pvc, invece, “gli uffici forniscono l’assistenza richiesta dal contribuente per avvalersi correttamente della definizione”.
La questione appare a dir poco dubbia.
Infatti, chiudere le controversie pendenti con il Fisco può diventare molto difficile per i contribuenti, che sono chiamati ad effettuare calcoli complicati con il rischio di cadere facilmente in errore.
La situazione appare ancora più grave se si pensa che pagando più del dovuto, l’ufficio - in sede di controllo - potrebbe non segnalare alcuna anomalia. Ciò vuol dire che:
se si paga più del dovuto, la definizione non dà luogo alla restituzione delle somme già versate;
Per i contribuenti, quindi, diventa molto importante determinare correttamente gli importi da versare, al netto di quanto già pagato in pendenza di giudizio.
È evidente, a questo punto, che un intervento chiarificatore dell’Agenzia appare più che necessario: è auspicabile che a livello centrale l’Agenzia impartisca le opportune direttive agli uffici affinchè sia fornita assistenza agli interessati, per evitare che un istituto sorto per deflazionare il contenzioso finisca per incrementarlo, dal momento che è plausibile che per errori simili il contribuente impugnerà il diniego davanti al giudice competente.
Altro aspetto particolarmente delicato nella definizione delle liti pendenti è quello che riguarda il valore della controversia.
Al riguardo, nella circolare n. 6/2019, l’Agenzia specifica che per la determinazione del valore della controversia non rilevano le eventuali proposte di accordo relative a mediazioni e conciliazioni o anche ad accertamenti con adesione, non perfezionatisi, ai quali abbia fatto seguito, rispettivamente, la costituzione in giudizio, la prosecuzione o l’instaurazione del giudizio da parte del contribuente.
Rileva, invece, il parziale annullamento dell'atto a seguito dell'esercizio del potere di autotutela da parte dell'ufficio, formalizzato tramite l'emissione di un apposito provvedimento.
Infatti, ai fini della definizione delle liti pendenti, sul valore della controversia pesa il parziale annullamento dell'atto a seguito del potere di autotutela.
La circolare non dice, però, quale sia il momento in cui deve risultare la suddetta formalizzazione.
Nel documento di prassi si ribadisce, più volte, che l’Agenzia delle Entrate deve trovarsi nella condizione di essere in qualità di “parte” nella lite.
Si tratta di un elemento imprescindibile per accedere alla definizione agevolata: infatti, sono ammesse alla sanatoria solo le controversie per le quali risulta parte – e quindi ente impositore - l'Agenzia delle Entrate.
Secondo la circolare, occorre fare riferimento alla nozione di “parte” in senso formale e, quindi, alle sole ipotesi in cui l'Agenzia delle Entrate sia stata evocata in giudizio o, comunque, risulti intervenuta nello stesso.
Al riguardo, dunque, si precisa che non risultano definibili le liti instaurate avverso atti dell'agente della riscossione nella quali l'Agenzia delle Entrate, pur essendo titolare del rapporto giuridico sostanziale, non sia stata destinataria dell'atto dell'impugnazione e non sia stata chiamata successivamente nel giudizio.
Interessante è la precisazione in cui si afferma che risultano ammesse alla definizione anche le controversie instaurate mediante ricorsi affetti da vizi di inammissibilità, come il ricorso tardivo, purché lo stesso risulti notificato in primo grado entro il 24 ottobre 2018 e per la cui controversia, alla data di presentazione della domanda di definizione, non sia intervenuta una pronuncia della Cassazione che ne abbia statuito l'inammissibilità.
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