Con sentenza n. 253 depositata il 26 novembre 2020, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale parziale dell’art. 702-ter, secondo comma, ultimo periodo, del Codice di procedura civile.
Questo, con riferimento alla parte di questa disposizione in cui non si prevede che, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito possa disporre il mutamento del rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ.
La Corte costituzionale si è così pronunciata rispetto alle questioni di legittimità dell’art. 702-ter sollevate dal Tribunale ordinario di Termini Imerese per asserita violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione, ritenendole fondate in riferimento ad entrambi i parametri evocati.
Nella decisione, i giudici costituzionali hanno ricordato come la norma censurata stabilisca, al secondo comma: “Se rileva che la domanda non rientra tra quelle indicate nell’articolo 702-bis, il giudice, con ordinanza non impugnabile, la dichiara inammissibile. Nello stesso modo provvede sulla domanda riconvenzionale”.
Quindi, il giudice sarebbe tenuto a dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale che, introducendo una causa in cui il tribunale decide in composizione collegiale e non già monocratica, non può essere proposta con il rito del procedimento sommario di cui all’art. 702-bis cod. proc. civ.
La Corte ha rilevato come, nella fattispecie in esame, il nesso di pregiudizialità comporti che la sorte della causa pregiudicata è condizionata – logicamente e processualmente – da quella della causa pregiudicante e, in questo modo, “risultano ineluttabili gli inconvenienti della trattazione separata della causa pregiudicata, con procedimento sommario, e della causa pregiudicante, con procedimento ordinario, fino, talora, all’estremo del conflitto di giudicati”.
E tali conseguenze, definite dalla Consulta “eccessive” e “irragionevoli della regola”, risulterebbero anche da considerazioni di comparazione e di sistema.
Se, da una parte, la domanda principale introdotta con il rito del procedimento sommario e quella riconvenzionale pregiudicante, soggetta a riserva di collegialità, sono proposte davanti a due giudici diversi, si ha che il giudice del procedimento sommario non può sospendere il corso della prima causa ma deve mutare il rito e aprendo così all’ordinaria disciplina della connessione delle cause, dall’altra, “può considerarsi la progressiva accentuazione del controllo dell’autorità giudiziaria nella scelta del rito più adatto per la definizione della controversia in primo grado”.
Per la Corte, in definitiva, anche se la parte convenuta nel procedimento sommario, la quale proponga una domanda riconvenzionale soggetta a riserva di collegialità, legata a quella principale da un nesso di pregiudizialità, non ha diritto al simultaneus processus, quest’ultimo le può neppure essere precluso dalla prevista pronuncia di inammissibilità.
Il giudice deve infatti poter valutare le ragioni del convenuto a fronte di quelle dell’attore e, all’esito, mutare il rito indirizzando la cognizione delle due domande congiuntamente nello stesso processo secondo il rito ordinario, piuttosto che tenerle distinte dichiarando inammissibile la domanda riconvenzionale.
Da questa “reductio ad legitimitatem” discende che, in caso di connessione per pregiudizialità necessaria, l’organo giudicante deve poter valutare la domanda riconvenzionale e mutare il rito fissando l’udienza di cui all’art. 183 cod. proc. civ., come nell’ipotesi, prevista dal terzo comma dell’art. 702-ter cod. proc. civ., in cui le difese svolte dalle parti richiedano un’istruzione non sommaria.
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