Risarcimento alla compagnia telefonica? Prima il tentativo di conciliazione

Pubblicato il 01 marzo 2018

Una Srl aveva adito in Tribunale una società di telefonia al fine di ottenere la risoluzione per inadempimento di un contratto di fornitura di servizi telefonici con richiesta di portabilità, chiedendo l'indennizzo contrattuale, lo storno di alcune fatture nonché il risarcimento dei danni subiti, anche in conseguenza del ritardo con il quale era stato attuato il rientro della propria linea telefonica presso l'originario operatore, con conseguente temporanea sospensione del servizio di telefonia.

Le relative domande, tuttavia, erano state dichiarate improponibili per il mancato esperimento del tentativo di conciliazione obbligatorio di cui all'articolo 1, comma 11, della Legge n. 249/1997. In secondo grado, i giudici di appello, in parziale riforma della decisione, avevano confermato l'improcedibilità delle domande di indennizzo e di storno fatture, condannando, tuttavia, in solido, le due compagnie telefoniche al pagamento di un risarcimento pari ad 20mila euro in favore del consumatore.

I giudici di Cassazione hanno accolto il ricorso successivamente avanzato da una delle predette società, e con il quale era stata lamentata, tra gli altri motivi, l’improponibilità anche della domanda risarcitoria formulata, in difetto di espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi al Corecom competente.

Conciliazione è condizione di procedibilità. Il giudice, in mancanza, fissa un termine per l’espletamento

La Suprema corte – sentenza n. 4575 del 28 febbraio 2018 – ha in proposito ricordato come il tentativo di conciliazione obbligatorio citato non sia affatto escluso per le domande risarcitorie.

L'articolo 1, comma 11 menzionato – precisa la Corte - prevede semplicemente la conciliazione obbligatoria per tutte le controversie che possono insorgere fra utenti o categorie di utenti ed un soggetto autorizzato o destinatario di licenze oppure tra soggetti autorizzati o destinatari di licenze tra loro, senza alcuna limitazione.

Tuttavia - concludono gli Ermellini - il mancato esperimento del tentativo di conciliazione non si può ritenere condizione di proponibilità della domanda, costituendo solo una condizione di procedibilità di essa, ed impone al giudice (anche di appello) di fissare alle parti un termine per il suo esperimento.

Poiché, quindi, nella specie, l'ordinanza con la quale era stato assegnato il suddetto termine risultava revocata dalla stessa Corte di appello, e quindi il termine stesso non si poteva ritenere effettivamente assegnato alle parti, la sentenza impugnata era da cassare con rinvio, ai fini della rivalutazione della fattispecie alla luce dei principi di diritto enunciati.

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