La consumazione del reato di rifiuto di atti d'ufficio – qualora l'autore del reato sia il consulente tecnico d'ufficio – non consegue ad un qualsiasi ritardo dell'ausiliare nell'espletamento del suo incarico.
Il ritardo infatti – oltre ad essere preceduto da sollecitazioni ad adempiere (rimaste prive di giustificazione) da parte dell'Ufficio per cui opera il consulente – deve risultare connotato dal superamento di ogni ragionevole tempo di tolleranza ed essere rimesso, nella sua determinazione, alla stima del giudice del procedimento in cui l'opera avrebbe dovuto prestarsi.
Al superamento di ogni ragionevole comporto segue quindi la lesione penalmente rilevante del bene giustizia e risulta dunque integrato il reato di rifiuto di atti d'ufficio.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con sentenza n. 51051 depositata il 29 dicembre 2015, respingendo il ricorso di un c.t.u., ritenuto penalmente colpevole per aver rifiutato, nonostante più volte sollecitato dall'Ufficio giudiziario, il compimento di atti d'ufficio di cui all'incarico ricevuto.
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