In tema di risarcimento danni (nella specie trattasi di danni non patrimoniali per la morte di un prossimo congiunto) la circostanza che l'attore, nel domandare il ristoro del danno patito, dopo aver quantificato nell'atto di citazione la propria pretesa, nell'udienza di precisazione delle conclusioni domandi il pagamento di una maggior somma – al fine di tener conto dei nuovi criteri standard di risarcimento (c.d. Tabelle) adottati dal Tribunale al momento della decisione - non costituisce mutamento inammissibile della domanda. Sempre che, tuttavia, attraverso tale mutamento non si introducano nel giudizio fatti nuovi o nuovi temi di indagine.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, terza sezione civile, con sentenza n. 25341 depositata il 17 dicembre 2015, accogliendo il ricorso del familiare di una vittima di un sinistro stradale, a cui la Corte territoriale aveva negato un aumento del risarcimento del danno patito, in quanto oltre l'importo indicato nell'originario atto di citazione (e come tale, ritenuto inammissibile in sede di appello ex art. 345 c.p.c.). E ciò nonostante detto aumento fosse dovuto al fatto che andassero applicate, al caso specifico, le neo – vigenti Tabelle di Milano.
Ma la Cassazione, viceversa, ha ritenuto del tutto legittima la richiesta di parte ricorrente sull'assunto che, nel caso de quo, non risultavano alterati i termini sostanziali della controversia (in quanto non introdotti nuovi temi di indagine ma solo richiesto un adeguamento ai parametri tabellari).
Deve dunque escludersi - conclude la Corte Suprema - che in tal caso la variazione puramente quantitativa del petitum abbia comportato l'introduzione di una nuova domanda, come tale inammissibile in appello ai sensi dell' art. 345 c.p.c.
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