Reverse charge. No a sanzione ridotta per operazioni imponibili inesistenti

Pubblicato il 21 luglio 2022

La sanzione ridotta introdotta dal D. Lgs. n.158/2015 per le operazioni inesistenti nei casi di applicazione dell’inversione contabile non può che riferirsi alle operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, ma non anche a quelle imponibili inesistenti. Va esclusa l'interpretazione estensiva, più favorevole al contribuente.

Lo hanno chiarito le Sezioni Unite civili della Cassazione, a soluzione della questione ad esse sottoposta, volta a verificare se, ed in quali limiti, alle operazioni inesistenti in regime di reverse change si applichi la normativa sanzionatoria sopravvenuta, introdotta dal D. Lgs. n. 158/2015 e che ha novellato l’art. 6 del D. Lgs. n. 471/1997, introducendo i commi 9- bis, 9-bis.1, 9-bis.2 e 9-bis.3, oppure se in questi casi seguiti ad applicarsi il comma 1 del medesimo articolo.

Per le SS. UU., la neutralizzazione dell’IVA a credito e di quella a debito nell’ipotesi di inversione contabile prevista dalla prima parte dell’art. 6, comma 9-bis.3 del D. Lgs. n. 471/1997 concerne esclusivamente le operazioni inesistenti che siano astrattamente “esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta”.

Essa non riguarda, invece, le operazioni inesistenti astrattamente imponibili per le quali non è ammesso il diritto a detrazione.

Per queste ultime, l’azione di forte contrasto all’evasione e alle frodi, di matrice eurounitaria, non può che essere perseguita dall’ordinamento per il tramite delle sanzioni previste dall’attuale art. 6, comma 1, del medesimo decreto.

Operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, regime sanzionatorio

E' quanto si legge nel testo della sentenza n. 22727 del 20 luglio 2022, con cui le Sezioni Unite di Cassazione hanno precisato la portata applicativa del novellato art. 6, comma 9-bis.3 del D. Lgs. n. 471/1997.

La norma in esame, in particolare, dispone che laddove il cessionario o committente applichi  l'inversione contabile per operazioni esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, in sede di accertamento "devono essere espunti sia il debito computato da tale soggetto nelle liquidazioni dell'imposta che la detrazione operata nelle liquidazioni anzidette, fermo restando il diritto del medesimo soggetto a recuperare l'imposta eventualmente non detratta...".

Nella seconda parte dell'articolo è poi espressamente previsto che "la disposizione si applica anche nei casi di operazioni inesistenti, ma trova in tal caso applicazione la sanzione amministrativa  compresa tra il cinque e il dieci per cento dell'imponibile, con un minimo di 1.000 euro".

Sanzioni ridotte solo per operazioni inesistenti esenti, non imponibili o non soggette a imposta

Orbene, come detto, secondo il massimo Collegio di legittimità, tale seconda parte, laddove introduce per le operazioni inesistenti una sanzione ridotta rispetto a quella prevista per i casi nei quali il contribuente non ha applicato l’IVA con il sistema dell’inversione contabile interno, non può che riferirsi alle operazioni inesistenti esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, ma non anche a quelle imponibili inesistenti.

Se così non fosse - precisa la Suprema corte -"si consentirebbe la detrazione dell’IVA in assenza dei presupposti sostanziali richiesti, fra i quali l’individuazione del soggetto passivo che invece assume carattere dirimente al fine di ammettere od escludere il diritto alla detrazione.

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