Con sentenza n. 221 depositata il 5 novembre 2015, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento all'art. 1 comma 1 Legge 164/1982 (Norme in materia di rettificazione di attribuzione di sesso), dal Tribunale ordinario di Trento, chiamato a decidere in ordine alla richiesta di una donna intenzionata ad ottenere il riconoscimento di una nuova identità maschile.
Ad avviso del giudice rimettente, in particolare, la disposizione censurata si sarebbe posta in contrasto con gli artt. 2, 3, 32 e 117 Cost., nonché con l'art. 8 Cedu, poichè la previsione della necessità, ai fini della rettificazione anagrafica dell'attribuzione di sesso, dell'intervenuta modifica dei caratteri sessuali primari attraverso trattamenti clinici altamente invasivi, avrebbe pregiudicato gravemente l'esercizio di diritti fondamentali, quali quello all'identità di genere ed alla salute.
In proposito la Consulta – nel respingere la censura -.ha richiamato la recente giurisprudenza di legittimità (in particolare, Cass. n. 15138 del 20 luglio 2015), secondo cui rimane ineludibile, ai fini della rettifica del sesso, un rigoroso accertamento giudiziale delle modalità attraverso le quali il cambiamento è avvenuto e del suo carattere definitivo. E rispetto ad esso, il trattamento chirurgico costituisce uno strumento eventuale di ausilio, al fine di garantire, attraverso una tendenziale corrispondenza dei tratti somatici con quelli del sesso di appartenenza, il conseguimento di un pieno benessere fisico e psichico della persona.
Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali – se letto in tale ottica - risulta dunque autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire il raggiungimento di uno stabile equilibrio psicofisico. Ed in particolar modo, in tutti quei casi in cui la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica.
In tale prospettiva, pertanto, il trattamento chirurgico non deve essere considerato (come invece prospettato dal rimettente) come prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo funzionale al conseguimento del pieno benessere della persona.
Detto percorso ermeneutico – conclude la Consulta – porta dunque a riconoscere alla disposizione in contestazione, un ruolo di garanzia del diritto all'identità di genere, come espressione del diritto all'identità personale, ed al tempo stesso, come strumento per la piena realizzazione del diritto alla salute.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".