Il datore di lavoro, nello stabilire la retribuzione da attribuire al socio lavoratore, ha l'obbligo di esatta applicazione del criterio individuato dall'art. 7 del Dl n. 248/2007.
Disposizione, questa, ai sensi della quale la retribuzione minima da attribuire ai soci lavoratori non deve essere inferiore a quella prevista dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali con maggiore rappresentatività a livello nazionale.
Conseguenza diretta di tale obbligo è quella di dimostrare, in sede di eventuale contestazione, di aver correttamente adempiuto al dictum normativo.
Parte datoriale, ciò posto, è tenuta a dare dimostrazione concreta del fatto che quello applicato è un trattamento economico non inferiore a quanto previsto dal contratto collettivo stipulato dalla associazione maggiormente rappresentativa, spettando, peraltro, al medesimo datore anche la prova della maggiore rappresentatività dei sindacati che stipularono il CCNL applicato.
E' quanto puntualizzato dalla Corte di cassazione con sentenza n. 36057 del 9 dicembre 2022, nel cassare una sentenza di merito non in linea con i richiamati principi.
Nella specie, la Corte d'appello aveva valutato come non adempiuto l'onere probatorio dei lavoratori rispetto alla allegazione, svolta in sede giudiziale, circa il maggiore grado di rappresentatività del CCNL Logistica, Trasporto, Merci e Spedizioni, in comparazione con il CCNL UNCI multiservizi applicato dalla cooperativa datrice di lavoro.
Secondo gli Ermellini, invece, la correttezza del parametro di riferimento utilizzato dalla società nella determinazione retributiva era un onere ricadente sulla stessa datrice, a seguito della contestazione avanzata dai lavoratori.
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