Responsabilità magistrati Termini non retroattivi

Pubblicato il 11 gennaio 2017

In tema di responsabilità civile dei magistrati, la sopravvenuta abrogazione delle disposizioni di cui all'art. 5 Legge n. 117/1988 per effetto dell’art. 3 Legge n. 18/2015, non esplica efficacia retroattiva. Pertanto l’inammissibilità della domanda di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione.

Il giudizio di ammissibilità della domanda previsto dall'art. 5 citata Legge n. 117/1988, prosegue, dunque, secondo le norme poste da tale disposizione, qualora la domanda sia stata proposta con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015; data di entrata in vigore della Legge n. 18/2015.

Ne consegue che l’azione di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie – per tutte le fattispecie anteriori al 19 marzo 2015 – è tardiva, ex art. 4 comma 2 Legge n. 117/1988, se proposta decorsi due anni dalla data della sentenza di Cassazione (termine meno favorevole rispetto a quello dell’attuale disposizione).

E’ quanto stabilito dai giudici della Cassazione, terza sezione civile, respingendo l’istanza di un soggetto, volta ad ottenere il risarcimento dei danni che asseriva di aver subito per effetto di una sentenza della Corte Suprema; sentenza con cui era stata respinta la domanda del ricorrente, di conversione del contratto di formazione e lavoro in contratto a tempo indeterminato.

Rito speciale non incompatibile con diritto Ue

E’ parimenti privo di pregio – conclude la terza sezione con sentenza n. 258 del 10 gennaio 2017 – l’assunto del ricorrente secondo cui, prima dell’entrata in vigore della riforma ex Legge n. 18/2015, l’azione risarcitoria nei confronti dello Stato per danni cagionati nell'esercizio di funzioni giudiziarie, quando riferita a violazioni del diritto dell’Unione, dovesse essere esperita nelle forme e nei termini del rito ordinario, con disciplina sostanziale ex art. 2043 c.c.

Invero deve escludersi che sia incompatibile con il diritto dell’Unione, la scelta del legislatore nazionale di assoggettare detta azione ad un rito processuale speciale, purché siano comunque rispettati i principi di effettività ed equivalenza. 

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