La responsabilità dell’avvocato non può dirsi esistente, e conseguentemente affermarsi, in presenza di un semplice errore (od omissione), stante la necessità di dimostrare, da parte del cliente, la ragionevole probabilità di un diverso e più favorevole esito, in assenza dell’asserita condotta colpevole.
E’ quanto dedotto dalla Corte di Cassazione, terza sezione civile, dichiarando non fondata l’azione di responsabilità proposta da una casa di cura nei confronti dei propri avvocati, ritenuti responsabili di aver suggerito, alla stessa ricorrente, una procedura di licenziamento collettivo poi rivelatasi illegittima.
Nel caso di specie, a parere della Corte, con sentenza n. 22882 del 10 novembre 2016 – ed in base a quanto accertato nel merito – mancherebbe la prova circa l’attribuibilità, ai predetti avvocati convenuti, della condotta generatrice del lamentato evento di danno.
Risulta dunque scorretta la censura di parte ricorrente, dacché essa – secondo gli ermellini – pur formalmente abbigliata in veste di denuncia di violazione di legge e di omissione di pronuncia, si risolve, in sostanza, nella richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze definitivamente accertati dai giudici di merito (che oltretutto hanno fatto buon governo dei principi sopra enunciati), onde invocare una diversa lettura ed interpretazione delle risultanze probatorie dinanzi alla Corte di legittimità; come tale, non ammessa.
Ai sensi dell'individuazione delle modalità semplificate per l'informativa e l'acquisizione del consenso per l'uso dei dati personali - Regolamento (UE) n.2016/679 (GDPR)
Questo sito non utilizza alcun cookie di profilazione. Sono invece utilizzati cookie di terze parti legati alla presenza dei "social plugin".