La registrazione di una conversazione tra colleghi, effettuata senza il consenso degli interessati, non costituisce una violazione illecita del diritto alla riservatezza se risulta necessaria per l'esercizio legittimo del diritto di difesa in giudizio.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5844 del 5 marzo 2025, ha accolto il ricorso presentato da una dottoressa contro la sanzione disciplinare della censura, inflittale dalla Commissione medica di disciplina dell'Ordine provinciale e successivamente confermata dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie.
La dottoressa era stata accusata di aver adottato un comportamento scorretto, contrario ai doveri di rispetto reciproco e fiducia tra colleghi, per aver registrato, senza autorizzazione, una conversazione privata avvenuta sul luogo di lavoro.
L’intento della registrazione era quello di utilizzarne il contenuto come prova contro il direttore dell'unità sanitaria, che la professionista aveva denunciato per abuso d'ufficio e omissione di atti d'ufficio ai suoi danni.
Nel caso in esame, la Commissione centrale aveva confermato la sanzione sulla base della violazione del diritto alla riservatezza e dell'articolo 58 del Codice deontologico.
La registrazione, effettuata senza consenso, era stata considerata deontologicamente scorretta in quanto violava la riservatezza del collega, senza che la necessità di acquisire una prova difensiva potesse costituire una giustificazione valida.
La rilevanza dell'articolo 58 del Codice deontologico
L'articolo 58, inoltre, prevedeva che il rapporto tra medici dovesse basarsi su principi di solidarietà, rispetto reciproco e considerazione dell'attività professionale di ciascuno.
Secondo la Commissione, la registrazione effettuata in assenza di consenso violava questi principi, configurando una condotta deontologicamente illecita.
Con il ricorso, la dottoressa aveva denunciato la violazione degli articoli 24 della Costituzione, 51 del Codice penale e 24 del Codice della privacy, sostenendo che la registrazione di un colloquio tra colleghi, cui partecipa chi registra, finalizzata all'acquisizione di prove utilizzabili in sede giudiziaria, non costituisce una violazione del diritto alla riservatezza, anche se effettuata senza il consenso dell’interessato.
Tale attività, a suo dire, sarebbe legittima poiché necessaria per le indagini difensive o per esercitare il diritto di difesa in giudizio.
La Suprema Corte ha ritenuto ammissibile il motivo di ricorso.
Secondo la Corte di Cassazione, in primo luogo, sebbene sia consolidato il principio secondo cui, nei procedimenti disciplinari contro professionisti, la determinazione delle regole deontologiche e la loro applicazione spettino agli organi competenti e non siano sindacabili in sede di legittimità se adeguatamente motivate, esistono tuttavia eccezioni.
In particolare, qualora il giudice di merito esprima valutazioni palesemente erronee rispetto alle clausole generali richiamate dalle norme, è possibile un sindacato in sede di legittimità ai sensi dell'articolo 360, n. 3, del Codice di procedura civile.
Nella vicenda in esame, era stato contestato un illecito disciplinare definito da una norma "elastica", che rimanda a modelli generali di comportamento per valutare fatti omissivi o commissivi, poiché non è possibile prevedere tutte le condotte specifiche. In questi casi, spetta al giudice di merito applicare la norma astratta al caso concreto, esaminando il comportamento dei singoli anche in base a principi deontologici e norme consuetudinarie, e questa attività interpretativa, come detto, può essere contestata in sede di legittimità.
La Corte di Cassazione ha rilevato che l'articolo 24 del Codice della privacy, richiamato dalla dottoressa, prevede espressamente una scriminante in caso di esercizio del diritto di difesa, ancora valida anche nel contesto del Decreto legislativo n. 101/2018, che ha adeguato la normativa nazionale al GDPR (General data protection regulation).
Inoltre, l'articolo 51 del Codice penale esclude la punibilità di chi agisce nell'esercizio di un diritto o nell'adempimento di un dovere legale.
Di conseguenza, la registrazione della conversazione, pur senza il consenso degli interessati, non è illecita se effettuata per finalità legate al diritto di difesa in giudizio.
La Commissione centrale, nella specie, non aveva fatto corretta applicazione di questi articoli, secondo cui non è illecita la violazione del diritto alla riservatezza, cioè la condotta di registrazione di una conversazione tra presenti in mancanza dell'altrui consenso, ove rispondente alle necessità conseguenti al legittimo esercizio del diritto di difesa in giudizio.
L'estensione del diritto di difesa
La Cassazione, nella propria disamina, ha inoltre precisato che la scriminante prevista opera indipendentemente dall'identità soggettiva tra i conversanti e le parti processuali, purché l'utilizzo della registrazione sia limitato esclusivamente al perseguimento della finalità difensiva e per il tempo strettamente necessario. Questo principio è stato già ribadito dalla stessa Corte anche in materia di licenziamento disciplinare con la sentenza n. 31204/2021.
L'acquisizione delle prove prima del processo
Un ulteriore aspetto sottolineato dalla Corte riguarda l'estensione del diritto di difesa anche alle attività volte ad acquisire prove prima ancora che sia formalmente avviata una controversia.
La possibilità di raccogliere elementi probatori a tutela dei propri diritti, anche prima della citazione in giudizio, rientra nel perimetro del diritto costituzionalmente garantito dall'articolo 24 della Costituzione.
E' stata richiamato, sul punto, il principio enunciato con la sentenza n. 27424/2014, secondo cui:
"il diritto di difesa non è limitato alla pura e semplice sede processuale, estendendosi a tutte quelle attività dirette ad acquisire prove in essa utilizzabili, ancor prima che la controversia sia stata formalmente instaurata mediante citazione o ricorso; non a caso, nel codice di procedura penale, il diritto di difesa costituzionalmente garantito dall'articolo 24 Costituzione, sussiste anche in capo a chi non abbia ancora assunto la qualità di parte in un procedimento".
In virtù delle considerazioni sopra esposte, la decisione impugnata è stata cassata con rinvio alla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie, in diversa composizione, affinché riesamini l’impugnazione conformandosi ai principi espressi dalla Suprema Corte.
Sintesi del caso | La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 5844 del 5 marzo 2025, ha accolto il ricorso di una dottoressa sanzionata con la censura per aver registrato, senza autorizzazione, una conversazione tra colleghi sul luogo di lavoro. La registrazione era stata effettuata per utilizzarla come prova contro il direttore dell'unità sanitaria, denunciato per abuso d'ufficio e omissione di atti d'ufficio. La sanzione era stata confermata dalla Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie. |
Questione dibattuta | La controversia riguardava la legittimità della registrazione effettuata senza il consenso degli interessati, considerata una violazione del diritto alla riservatezza e delle norme deontologiche (art. 58 del Codice deontologico). La dottoressa sosteneva che la registrazione fosse legittima in quanto necessaria per esercitare il diritto di difesa in giudizio, in conformità con gli articoli 24 della Costituzione, 51 del Codice penale e 24 del Codice della privacy. |
Soluzione della Corte di Cassazione | La Corte ha stabilito che la registrazione, anche se effettuata senza consenso, non costituisce una violazione illecita del diritto alla riservatezza se risponde alla necessità di tutelare il diritto di difesa in giudizio. In particolare, l'articolo 24 del Codice della privacy e l'articolo 51 del Codice penale prevedono scriminanti per l'esercizio legittimo del diritto di difesa. Pertanto, la decisione impugnata è stata cassata con rinvio alla Commissione centrale per un nuovo esame conforme a tali principi. |
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