Ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio, per “indipendenza economica” del coniuge richiedente, deve intendersi la capacità di una persona adulta e sana – tenuto conto del contesto sociale di inserimento – di avere risorse sufficienti per le spese essenziali (vitto, alloggio, esercizio dei diritti fondamentali).
Un parametro fondamentale a tal proposito (anche se non esclusivo), può essere rappresentato dall’ammontare degli introiti del coniuge richiedente, che, secondo la legge dello Stato, ove non superato, consenta ad un individuo di accedere al gratuito patrocinio; soglia che, ad oggi, è pari ad euro 11.528, 41, ossia circa 1000 euro al mese.
Ulteriore parametro per adattare “in concreto” il concetto di indipendenza, può essere anche il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita.
Sulla base di questo nuovo indirizzo giurisprudenziale, il Tribunale di Milano, nona sezione civile, ha negato la spettanza dell’assegno divorzile ad una donna che, svolgendo attività lavorativa in un società operante in settore tutt'altro che in crisi, percepiva un introito mensile di circa 1.700 euro (dunque superiore alla indicata soglia dei 1000 euro).
Così statuendo, i Giudici milanesi hanno dato atto di come, nelle more del presente giudizio, i criteri di determinazione dell’assegno divorzile siano mutati, in particolar modo, per effetto del revirement adottato dalla Suprema Corte con la nota sentenza n. 11504/2017. Il presupposto per riconoscere l’assegno di divorzio, ora, non è più tanto il raffronto con il pregresso tenore di vita, quanto, piuttosto, il riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica del richiedente, che può essere desunta dai principali indici quali il possesso di redditi di qualsiasi specie e/o di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, dalla capacità e possibilità effettiva di lavoro personale (in relazione alla salute, al sesso, all'età, al mercato del lavoro dipendente e autonomo), dalla stabile disponibilità di una casa di abitazione.
D’altra parte – conclude il Tribunale con ordinanza del 22 maggio 2017 – la stessa autorità giudicante ha già avuto modo di chiarire come l’assegno divorzile non possa tradursi in una impropria rendita di posizione, nel senso di essere riconosciuto tout court per colmare il divario reddituale tra i coniugi (tra l’altro, nel caso di specie, nemmeno troppo eccessivo); realizzandosi per tale via un’impropria alterazione delle funzione dell’assegno divorzile.
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