Il reddito da meretricio non costituisce reddito esente, non imponibile e neppure provento da attività illecita, ma rientra tra i redditi diversi, tassabili a norma degli artt. 6 e 67 lett. l) D.p.r. 917/1986, derivanti da lavoro autonomo non esercitato abitualmente, ovvero dalla assunzione di obblighi di fare o promettere.
E’ quanto confermato dalla Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, accogliendo il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, la quale, a seguito di verifica nei confronti di una donna – che pur senza aver mai presentato dichiarazione dei redditi, aveva intestati numerosi immobili, autovetture di lusso, conti correnti e gestioni patrimoniali – emetteva avvisi di accertamento per il recupero a tassazione di redditi diversi ai fini Irpef.
Respinto dunque il ricorso della donna, volto a sostenere la non tassabilità dei redditi accertati, in quanto provento di attività di prostituzione da essa esercitata.
E parimenti disattesa la censura della contribuente, volta ad evidenziare la contraddittorietà della motivazione impugnata, laddove affermava che l’attività di prostituzione era svolta, sì in via occasionale, ma con clienti abituali.
Trattasi infatti – secondo la Corte con sentenza n. 22413 del 4 novembre 2016 – di circostanza irrilevante ai presenti fini, posto che la prostituzione, occasionale o abituale che sia, genera comunque un reddito imponibile ai fini Irpef, trattandosi in ogni caso di proventi rientranti nella categoria residuale “redditi diversi”.
Il requisito dell’abitualità può essere tutt'al più rilevante al diverso fine dell’assoggettamento dei proventi alla imposta indiretta (Iva) ex art. 5 D.p.r. 633/1972, secondo cui costituisce esercizio di arti o professioni, soggetto ad Iva, l’esercizio per professione abituale di qualsiasi attività di lavoro autonomo.
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