Nel rapporto di lavoro l'Istituto previdenziale si pone come soggetto terzo rispetto al quale l'obbligo contributivo rimane autonomo rispetto al rapporto lavorativo.
Tale principio di autonomia, nuovamente espresso dai Giudici della suprema corte, nell'ordinanza 6 ottobre 2020, n. 21479, è rinvenibile nell'art. 1, Legge 7 dicembre 1989, n. 389, ai sensi del quale, l'imponibile utile per il calcolo dei contributi previdenziali - a prescindere da eventuali pattuizioni individuali difformi - non può essere inferiore all'importo stabilito da leggi, regolamenti e contratti collettivi stipulati dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e commisurata ad un numero di ore settimanali non inferiore all'orario normale di lavoro stabilito dalla medesima negoziazione collettiva.
In tale ambito, gli Ermellini, ribadendo quanto già oggetto di espressione nella sentenza n. 15120 del 3 giugno 2019, hanno affermato che la regola del c.d. minimale contributivo opera con riferimento all'ammontare della retribuzione c.d. contributiva ed all'orario di lavoro normalmente stabilito dalla contrattazione collettiva o dal contratto individuale se superiore, giacché l'eventuale contribuzione calcolata su un numero inferiore di ore rispetto a quelle normalmente previste non può rispettare il minimo contributivo previsto dalla norma.
Invero, la contribuzione è dovuta anche nel caso in cui vi siano assenze o sospensioni concordate del rapporto di lavoro che non trovino giustificazione nella legge o nel contratto collettivo, rimanendo vani accordi e intese intervenute tra le parti oggetto del rapporto di lavoro.
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