Ai fini dell’integrazione del reato di omesso versamento dell’Iva, l’entità della somma da considerare è quella indicata nel rigo VL38 della dichiarazione annuale.
La Corte di cassazione, con sentenza n. 31367 del 10 agosto 2021, ha annullato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto disposto in relazione al reato di cui all’art. 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000, contestato al legale rappresentante di una società in liquidazione.
La decisione è stata pronunciata in accoglimento del ricorso avanzato dall’indagato per erronea applicazione della predetta norma incriminatrice, in relazione alle istruzioni dell’Agenzia delle Entrate per la compilazione della dichiarazione annuale Iva.
Secondo il ricorrente, la disposizione in oggetto è riferita all’omesso versamento dell’Iva a debito, quale risultante dal rigo VL38 della dichiarazione, che, nella specie, riportava un importo inferiore alla soglia di punibilità.
Nel condividere l’assunto dell’indagato, gli Ermellini hanno rilevato l’insussistenza del fumus del reato contestato e, quindi, dei requisiti per disporre la misura cautelare: nel caso in esame, era pacifico che nella dichiarazione annuale Iva presentata per l’anno in contestazione il contribuente si fosse riconosciuto debitore solo della somma di 2.500 euro, indicata al rigo VL38 (totale Iva dovuto), pari alla differenza tra l’imposta a debito maturata nell’anno (rigo VL3 della dichiarazione) e quella dichiarata come versata in sede di acconti periodici (rigo VL30).
L’ordinanza impugnata aveva invece considerato che il fumus del reato fosse sussistente e che l’importo da ultimo indicato fosse falso. Per giungere a tale conclusione, aveva negato che l’imposta annuale dovuta il cui mancato versamento avrebbe integrato gli estremi del reato corrispondesse all’importo indicato nel rigo VL38, affermando, invece, che l’imposta dovuta in base alla dichiarazione annuale era quella risultante dal rigo conclusivo della Sezione 1 del quadro VL, vale a dire il rigo VL3.
Conclusione, questa, giudicata errata dalla Suprema corte: era evidente che il rigo VL3 fosse un mero rigo intermedio della dichiarazione, attestante l’Iva a debito maturata nell’anno d’imposta considerato e non già quella rilevante ai fini dell’applicazione della norma incriminatrice che è, invece, “l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale”.
L’imposta da considerare, infatti, è quella risultante tenendo conto, tra l’altro, dei versamenti periodici effettuati in base a quanto riferito nella stessa dichiarazione.
Non poteva ritenersi, come attestato nell’ordinanza, che tali importi rilevassero, laddove corretti e rispondenti a dati veritieri, soltanto per verificare se fosse stata superata la soglia di punibilità di 250mila euro.
Riprendendo quanto precisato, in proposito, dalla recente giurisprudenza di legittimità, la Corte ha ricordato come ai fini dell’integrazione del reato di omessa Iva, l’entità della somma da versare, costituente il debito Iva, è quella risultante dalla dichiarazione del contribuente e non quella effettiva desumibile dalle annotazioni contabili.
L’imposta dovuta, di regola, è proprio quella indicata nel rigo VL38 della dichiarazione annuale, potendo, tuttavia, il giudice prescindere da tale importo, se esso non è giustificato dall’esame formale della dichiarazione stessa.
Soltanto incongruenze rilevabili in base alla mera analisi della dichiarazione possono consentire, eventualmente, di rettificare l’importo indicato dal contribuente come dovuto, mentre laddove la diversa quantificazione dell’imposta sia effettuata in forza di accertamenti sostanziali sulla non corrispondenza al vero saranno eventualmente ravvisabili i più gravi reati.
In definitiva, la Corte di legittimità ha annullato, senza rinvio, l’ordinanza impugnata attesa l’insussistenza del fumus del reato contestato. Contestualmente, ha ordinato la restituzione delle somme sequestrate all’indagato.
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