Incorre nel grave reato di indebita compensazione di crediti inesistenti il legale rappresentante di una cooperativa, che ha utilizzato in compensazione un credito Iva derivante da una dichiarazione omessa. Lo sancisce la III Sezione penale, della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43627 depositata il 3 ottobre 2018.
Viene così condannato a quindici mesi di reclusione l'imprenditore (legale rappresentante di una società), che non ha presentato il modello Unico fiscale.
L’imputato era stato condannato per omessa presentazione della dichiarazione e indebita compensazione di crediti Iva inesistenti ai sensi degli articoli 5 e 10 quater del Dlgs 74/2000. In particolare, aveva omesso il versamento delle imposte utilizzando un credito Iva scaturente dalla dichiarazione dell’anno precedente non presentata.
Ricorre in Cassazione lamentando, tra i vari motivi e limitatamente alla indebita compensazione, che l’unico dato probatorio era costituito dalla testimonianza del funzionario del Fisco, secondo cui i crediti compensati erano inesistenti perché la cooperativa non aveva presentato la dichiarazione da cui provenivano.
La Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto infondati tutti i motivi avanzati dalla difesa, tra cui tale eccezione, ricordando che possono essere utilizzati in compensazione solo i crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche.
Pertanto, è da ritenere corretta la motivazione della Corte di appello secondo la quale “i crediti portati in compensazione sono stati ritenuti inesistenti, perché non si trattava di crediti Iva risultanti dalle dichiarazioni o denunce presentate dal ricorrente”.
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