I giudici europei sulla configurabilità del reato di autoriciclaggio negli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione europea.
Con sentenza depositata il 2 settembre 2021, relativamente alla causa C-790/19, la Corte di giustizia si è espressa in ordine a una domanda di pronuncia pregiudiziale che verteva sull’interpretazione delle norme Ue relative alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo.
Questo nel contesto di un procedimento penale avviato a carico di due cittadini rumeni, accusati di avere, rispettivamente, commesso e partecipato ad un’operazione di riciclaggio di capitali.
La Corte di appello nazionale aveva deciso di sospendere il procedimento e di chiedere ai giudici europei se le norme Ue dovessero essere interpretate nel senso che la persona che commette l’attività materiale del reato di riciclaggio è sempre una persona distinta da quella che commette il reato presupposto, dal quale proviene il denaro oggetto dell’atto di riciclaggio.
In particolare, il giudice del rinvio chiedeva chiarimenti in ordine all’interpretazione della direttiva 2015/849 che, anche se ancora non trasposta nel diritto rumeno entro il termine prescritto, definiva il reato di riciclaggio di capitali allo stesso modo della precedente direttiva 2005/60, in vigore alla data della commissione dei fatti di cui al procedimento principale e trasposta nel diritto rumeno.
Secondo la Corte nazionale, tale direttiva andava interpretata nel senso che l’autore del reato di riciclaggio di capitali, reato “di conseguenza” derivante da un reato principale, non può essere quello di suddetto reato principale.
A suo parere, ritenere che l’autore del reato principale possa anche essere quello del reato di riciclaggio di capitali equivarrebbe a violare il principio del ne bis in idem.
Diversa l’interpretazione resa dalla Corte di giustizia, secondo la quale le disposizioni europee richiamate devono essere interpretate nel senso che non ostano ad una normativa nazionale che ammette la possibilità che il reato di riciclaggio di capitali possa essere commesso dall’autore dell’attività criminosa che ha generato i capitali di cui trattasi.
Dal contesto normativo in cui si inserisce la direttiva 2005/60, infatti, discende che quest’ultima non impedisce che uno Stato membro trasponga il relativo articolo 1, paragrafo 2, lettera a), nel suo ordinamento interno, prevedendo l’incriminazione, per quanto riguarda l’autore del reato principale, del reato di riciclaggio di capitali, conformemente ai suoi obblighi internazionali e ai principi fondamentali del suo diritto interno.
Le relative disposizioni – ha sottolineato la Corte Ue - presentano un “carattere eminentemente preventivo, in quanto mirano a stabilire, secondo un approccio basato sul rischio, un insieme di misure preventive e dissuasive per contrastare efficacemente il riciclaggio dei proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo, nonché per preservare la solidità e l’integrità del sistema finanziario”.
Si tratta di misure volte a evitare e a ostacolare, per quanto possibile, le predette attività, creando a tal fine barriere nei confronti di coloro che riciclano i proventi di attività criminose e di coloro che finanziano il terrorismo.
Secondo i giudici europei, ciò posto, l’incriminazione, per quanto riguarda l’autore del reato principale, del reato di riciclaggio risulterebbe conforme agli obiettivi della menzionata direttiva, essendo idonea a rendere più difficile l’introduzione dei fondi di origine criminosa nel sistema finanziario, contribuendo così a garantire il buon funzionamento del mercato interno.
Rispetto, poi, al lamentato rischio di incompatibilità di una siffatta interpretazione alla luce del principio del ne bis in idem, la Corte ha precisato che il riciclaggio dei capitali, in realtà, è costituito da un atto distinto dall’atto costitutivo del reato principale (nel caso in esame un reato di evasione fiscale), anche se detto riciclaggio di capitali è effettuato dall’autore del summenzionato reato principale.
In ogni caso, spetta al giudice del rinvio esaminare, nel concreto, l’applicabilità dell’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e, a tale titolo, verificare se il reato principale sia stato oggetto di una sentenza penale definitiva di assoluzione o condanna del suo autore.
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