In relazione ai reati tributari, la pena accessoria non può scendere al di sotto dei minimi previsti per legge, anche se risulta superiore alla pena principale inflitta.
A stabilirlo la Corte di Cassazione, terza sezione penale, parzialmente respingendo le ragioni di un soggetto condannato per indebita compensazione ex art. 10 quter D.Lgs. n. 74/2000, oltre alle pene accessorie di cui all’art. 12 medesimo Decreto.
Lamentava in particolare l’imputato, come la Corte territoriale, che aveva ridotto la pena principale da un anno a otto mesi di reclusione, avesse tuttavia omesso di ridurre la pena accessoria (rimasta ad un anno) in misura corrispondente a quella principale. E ciò in violazione – adduceva ancora la difesa – dell’art. 37 c.p. nella specie applicabile (secondo cui, qualora la durata della pena accessoria non sia espressamente determinata, essa è pari a quella della pena principale inflitta).
In proposito la Corte Suprema - dato atto dell’acceso contrasto giurisprudenziale in materia - ha ritenuto fondato il ricorso limitatamente alla durata della pena accessoria di interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese (ex D.Lgs. n. 74/2000, art. 12, lett. a), in quanto qui il limite minimo invalicabile è espressamente indicato in sei mesi, con possibilità del giudice di indicare una data diversa, purché non ecceda la forbice edittale massima di tre anni.
Viceversa, per le ipotesi parimenti contestate di cui all'art. 12 lett. b e c - incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione; l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria – per le quali la durata minima è prevista in un anno, è del tutto inammissibile che possa trovare applicazione il suindicato art. 37 c.p.. Ciò equivarrebbe, difatti, a fissare la durata della pena accessoria in modo illegale, proprio perché inferiore al limite minimo.
Invero – conclude la Corte con sentenza n. 4916 del 2 febbraio 2017 – quando la pena accessoria risulta determinata nel minimo e nel massimo (come nei casi di cui alle lett. b e c), il giudice stabilisce la durata nell’ambito di quell’intervallo temporale, senza poter scendere sotto. Trova invece applicazione il disposto di cui all'art. 37 c.p., soltanto quando la legge non indichi né una misura fissa, né un minimo ed un massimo.
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