In ambito di reati tributari, la confisca diretta o per equivalente del profitto del reato – nella specie coincidente con l’imposta evasa – va sempre obbligatoriamente disposta, anche con la sentenza di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, terza sezione penale, accogliendo il ricorso del Procuratore generale avverso la sentenza di applicazione della pena nei confronti di un imputato per il reato di cui all’art. 5 D.Lgs. 74/2000, ossia, per aver omesso la dichiarazioni rispetto a una determinata annualità, con conseguente evasione dell’imposta.
Lamentava in particolare il Procuratore ricorrente come la sentenza impugnata avesse omesso di disporre la confisca per equivalente, prevista per il reato contestato, in relazione al profitto coincidente.
Censura accolta dalla Cassazione, la quale ricorda che secondo l’art. 12 bis D.Lgs. 74/2000 – introdotto con recente D.gs. 158/2015 – nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.c. per uno dei delitti previsti dal Decreto, è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato. E qualora essa non sia possibile, è ordinata la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità, per un valore corrispondente a tale prezzo e a tale profitto.
Ne consegue – conclude la Corte con sentenza n. 50338 del 28 novembre 2016 – che la misura ablativa in esame, anche per equivalente, deve essere sempre disposta ai sensi del citato art. 12 bis D.Lgs. 74/2000 con riferimento a tutti i delitti del decreto medesimo, ivi compreso quello qui oggetto di contestazione. Né si pone al riguardo alcuna questione di diritto intertemporale ai sensi dell'art. 2 c.p., attesa l’identità dello stesso art. 12 bis con l’art. 322 ter comma 1 c.p., dunque la piena continuità normativa tra dette previsioni.
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