Qualità di erede, prova al Fisco

Pubblicato il 26 febbraio 2016

Con particolare riferimento alle obbligazioni tributarie, spetta all’amministrazione finanziaria creditrice del de cuius l’onere di provare l’accettazione dell’eredità da parte dei chiamati, per poter esigere da questi l’adempimento dell’obbligazione del loro dante causa.

Non basta la denuncia di successione

Questo onere probatorio non può ritenersi assolto con la produzione della sola denuncia di successione.

Per contro, lo stesso è da considerare idoneamente adempiuto con la produzione degli atti dello stato civile, dai quali è dato coerentemente desumere quel rapporto di parentela con il de cuius che legittima alla successione, o di qualsiasi altro documento dal quale possa, con pari certezza, desumersi la sussistenza di detta qualità.

Legittimazione processuale, non basta chiamata a eredità

E’, inoltre, onere della parte istante la prova della legittimazione passiva processuale dei soggetti ai quali la domanda o l’impugnazione sia stata notificata e, dunque, la loro avvenuta assunzione della qualità di erede per accettazione espressa o tacita, non essendo sufficiente, per contro, la mera chiamata all’eredità.

La legittimazione ad causam, infatti, non si trasmette dal de cuius al chiamato per effetto della sola apertura della successione.

Sono questi i principi di diritto enunciati dalla Corte di cassazione, Sezione tributaria civile, nel testo della sentenza n. 3611 depositata il 24 febbraio 2016.

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