Prove atipiche Rettifica lecita

Pubblicato il 10 settembre 2016

La Corte di cassazione, nel respingere il ricorso di un notaio, ha dichiarato legittimo l'accertamento a carico del professionista basato su elementi, forniti dai clienti dello stesso, che presupponevano evasione d'imposta.

Il rinvenimento presso i clienti, da parte della Guardia di finanza, di fotocopie e matrici di assegni di versamenti al notaio evidenziava che il fatturato dichiarato dal professionista era inferiore ai pagamenti ricevuti.

Il notaio, a fronte della contestazione, si è limitato ad affermare che le differenze tra le somme versate e quelle fatturate erano da imputare a spese anticipate per i clienti, senza fornire prove e senza argomentare sul fatto che gli onorari risultavano sempre molto inferiori alle presunte spese.

Prove atipiche

Non si tratta di semplici informazioni ma di dichiarazioni suffragate da ulteriori riscontri: elementi di fatto hanno permesso la ricostruzione analitica dei redditi non dichiarati.

La Cassazione, nella sentenza n. 17810 del 9 settembre 2016, ribadisce che “le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio”.

La Corte, quanto alle prove atipiche, di cui si tratta, spiega che: “il diritto interno, tanto in materia di imposte dirette ... quanto in tema d'imposta sul valore aggiunto ... consente l'ingresso nell'accertamento fiscale, prima, e nel processo tributario, poi, di elementi comunque acquisiti e, dunque, anche di prove atipiche ovvero di dati acquisiti in forme diverse da quelle regolamentate..., secondo i canoni caratteristici della prova per presunzioni”, non essendo evidentemente predeterminabili dalla legge.

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