Prova del dolo a carico dell'accusa

Pubblicato il 11 marzo 2014 Con la sentenza n. 11380 del 10 marzo 2014, la Corte di cassazione ha annullato, con rinvio, la decisione con cui i giudici di merito avevano condannato un imprenditore per il reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici.

L'amministrazione finanziaria aveva fatto dipendere l'accusa dal fatto che la documentazione a lei fornita dal contribuente era incompleta.

L'imputato si era quindi difeso invocando la causa di forza maggiore sull'assunto che la parzialità della documentazione era derivata dalla circostanza che i documenti contabili si trovavano in un immobile della società il cui tetto di amianto era crollato rendendo impossibile il relativo recupero proprio a causa della presenza dell'amianto.

La Suprema corte ha ritenuto rilevante questa argomentazione evidenziando come la sentenza impugnata fosse viziata in conseguenza di una “confusione” dell'organo giudicante in merito alla differenza tra le valutazioni spettanti al giudice penale nell'ambito di un processo penale e quelle spettanti al giudice tributario nell'ambito del relativo processo. Non ogni eventuale violazione tributaria, infatti, integra necessariamente il corrispondente reato.

E nel dettaglio – ha ricordato la Corte - nel processo penale vige il principio che l'onere della prova spetta all'accusa, anche in ordine all'elemento soggettivo del reato, elemento soggettivo che, nel caso in esame, era costituito dal dolo specifico; per contro, nel processo tributario vige il principio che l'onere della prova è a carico del contribuente, applicandosi le presunzioni stabilite dalla normativa fiscale.

Così, nella specie, non avrebbe potuto sostenersi una responsabilità penale del contribuente per non essersi attivato nella ricostruzione della documentazione contabile dispersa posto che, in ogni caso, l'onere di provare il dolo dell'imputato era a carico dell'accusa.
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