Protocolli anti-contagio, le indicazioni per i datori di lavoro

Pubblicato il 24 marzo 2021

La situazione emergenziale derivante dalla diffusione del Covid-19 ha comportato l’introduzione di nuove misure di sicurezza, oltre quelle già esistenti, nei luoghi di lavoro.

La Fondazione Studi Consulenti del Lavoro ha pubblicato, il 22 marzo 2021, un approfondimento contenente 11 FAQ in merito alle misure di prevenzione che il datore di lavoro può adottare in ambito lavorativo al fine di contrastare e limitare il contagio da Sars-Cov2, fornendo utili chiarimenti sui comportamenti da tenere.

Nello specifico, è stata trattata la problematica riguardante la possibilità o meno per i datori di lavoro di imporre la vaccinazione ai propri dipendenti e le relative conseguenze connesse dal rifiuto degli stessi di sottoporsi al trattamento sanitario, nonché alla possibilità di introdurre test sierologici o tamponi molecolari come misura obbligatoria preventiva.

In particolare, secondo le indicazioni degli esperti, il datore di lavoro, in applicazione del combinato disposto degli artt. 2087, Cod. Civile, e 41 della Carta Costituzionale, può legittimamente imporre il vaccino al prestatore di lavoro subordinato in ragione del suo obbligo di adottare tutte le misure idonee a tutelare l’integrità psico-fisica dei suoi dipendenti. V’è, però, da contemplare opportunamente tale possibilità in considerazione dell’ulteriore diritto costituzionale sancito dall’articolo 32 della Costituzione secondo cui “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.

Nel caso concreto, ove il lavoratore si rifiuti di sottoporsi al vaccino, si potrà procedere alla verifica di idoneità alla mansione, da parte del medico competente, secondo le prescrizioni del protocollo sanitario relativo alla specifica mansione. Qualora dagli accertamenti posti dovesse emergere un profilo di non idoneità, il datore di lavoro potrà valutare se far prestare l’attività lavorativa in modalità agile ovvero se adibire il lavoratore ad altre mansioni che non pregiudichino il suo stato di salute. Qualora una delle sopradette ipotesi sia incompatibile con le mansioni affidate al prestatore di lavoro subordinato, il datore di lavoro potrà procedere a sospendere il rapporto di lavoro senza diritto alla percezione della retribuzione.

Si rammenta che, in caso di contagio da Sars Cov-2 di lavoratori che hanno rifiutato di vaccinarsi, la presunzione dell’occasione di lavoro - necessaria per riconoscere un infortunio sul lavoro - opera solo nei confronti di alcune categorie di lavoratori specificate dalla Circolare Inail 3 aprile 2020, n. 13.

Resta fermo il diritto di regresso da parte dell’Istituto che, successivamente all’erogazione della prestazione al lavoratore infortunato, ha il diritto di agire nei confronti della persona civilmente responsabile per richiedere un rimborso delle somme erogate a titolo di indennità e di spese accessorie.

Altresì, come precedentemente comunicato dalle istruzioni di prassi dell’Istituto previdenziale, il lavoratore posto in isolamento fiduciario non potrà svolgere attività lavorativa ed avrà diritto al trattamento assistenziale di malattia. Diversamente, in caso di quarantena o sorveglianza precauzionale l’attività lavorativa potrà essere resa in smart-working solo nel caso in cui le mansioni affidate al lavoratore lo consentano. In caso contrario, anche per tali ultimi casi, il lavoratore potrà beneficiare del trattamento di malattia alla medesima stregua del trattamento riconosciuto per l’isolamento fiduciario.

Infine, per quanto attiene alla possibilità di sottoporre il prestatore di lavoro subordinato a test sierologico ovvero a tampone molecolare, come misura obbligatoria preventiva, l’art. 5, Legge 20 maggio 1970, n. 300, vieta che possano essere svolti dal datore di lavoro accertamenti sull’idoneità o sull’infermità di malattia o infortunio del lavoratore dipendente.

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