Pronuncia delle Sezioni Unite civili della Corte di cassazione in materia di protezione umanitaria e normativa applicabile ai fini del riconoscimento del titolo di soggiorno.
Gli Ermellini, per quanto riguarda questo particolare ambito, si sono espressi in ordine al tema della successione delle leggi nel tempo, facendo riferimento anche alla normativa da ultima introdotta con il convertito DL n. 113/2018 (cosiddetto “Decreto Salvini”).
Con sentenza n. 29459 del 13 novembre 2019, hanno così spiegato che il diritto alla protezione, espressione del diritto costituzionale di asilo, sorge al momento dell’ingresso in Italia in condizioni di vulnerabilità per rischio di compromissione dei diritti umani fondamentali.
In detto contesto, la domanda tesa all’ottenimento del relativo permesso “attrae il regime normativo applicabile”.
Di conseguenza, la normativa di cui al DL n. 113/2018, convertito con Legge n. 132/2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina contemplata dall’art. 5, comma 6, del D. Lgs. n. 286/1998 e dalle altre disposizioni consequenziali, non trova applicazione in relazione a domande di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore della nuova legge (5 ottobre 2018).
La Suprema corte ha quindi precisato quale sia la normativa di riferimento per dette ultime domande: esse dovranno essere scrutinate sulla base delle disposizioni esistenti al momento della loro presentazione ma, in tali ipotesi, l’accertamento della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base delle norme esistenti prima dell’entrata in vigore del Dl 113 “comporterà il rilascio del permesso di soggiorno per casi speciali”, per come previsto dall’articolo 1, comma 9 del citato Decreto legge.
Sempre in tema di protezione umanitaria, i giudici di legittimità hanno anche precisato come, alla luce dell’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, sia necessario operare una valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza.
Nel rilascio dei permessi, ossia, va assegnato rilievo centrale alla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale.
Ciò considerato, il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere riconosciuto al cittadino straniero solo in considerazione del suo livello di integrazione in Italia. E un tale diritto non può essere affermato nemmeno sulla base del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al paese di provenienza.
Nel caso specificamente esaminato dai giudici di legittimità, così, è stato ritenuto che dovesse essere accolto, con rinvio, il ricorso con cui il ministero dell’Interno aveva impugnato una decisione di appello fondata sul solo elemento, isolatamente considerato, della recente assunzione del richiedente protezione alle dipendenze di un datore di lavoro italiano, senza svolgere alcuna valutazione comparativa nei termini sopra indicati.
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