La Consulta ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Bari per quanto riguarda le disposizioni della Legge n. 75/1958 (“Legge Merlin”) che puniscono il reclutamento e il favoreggiamento della prostituzione.
Nel dettaglio, la Corte rimettente aveva censurato l’articolo 3, primo comma, numeri 4), prima parte, e 8), della citata legge sull’abolizione della regolamentazione della prostituzione e la lotta contro lo sfruttamento altrui, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, 27 e 41 della Costituzione.
I giudici di Bari, ossia, hanno dubitato della legittimità costituzionale della previsione che configura come illecito penale le condotte indicate di reclutamento e di favoreggiamento della prostituzione, anche quando si tratti di prostituzione liberamente e volontariamente esercitata.
Con sentenza n. 141 del 7 giugno 2019, la Corte costituzionale ha giudicato infondata la relativa questione, evidenziando, in particolare, che le incriminazioni in oggetto mirano a tutelare i diritti fondamentali delle persone vulnerabili e la dignità umana.
Questo perché - si legge nel testo della decisione - in questa materia, “il confine tra decisioni autenticamente libere e decisioni che non lo sono è spesso labile e sfumato”.
Difatti, al di là dei casi di “prostituzione forzata”, la scelta di “vendere sesso” è quasi sempre determinata da fattori - che possono essere di ordine economico, affettivo, familiare e sociale - limitativi della libertà di autodeterminazione dell’individuo.
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