La somma trattenuta dal promittente venditore a seguito dell'inadempimento del contratto preliminare di compravendita da parte del promissario acquirente costituisce reddito imponibile a fini IRPEF e come tale deve essere dichiarata.
E' sulla base di tale assunto che i giudici di merito avevano affermato la penale responsabilità di un imputato per il reato di cui all'art. 4 del D. Lgs. n. 74/2000 (dichiarazione infedele).
L'organo giudicante, in particolare, nell'esaminare la documentazione in atti e le pattuizioni intercorse tra le parti della compravendita immobiliare, aveva evidenziato che il contratto preliminare prevedeva la corresponsione della somma di 800mila euro quale acconto prezzo e, in caso di inadempimento, quale somma che la parte promittente venditrice avrebbe incamerato "a titolo di penale";
La predetta somma, infatti, costituiva reddito imponibile a fini IRPEF e, come tale avrebbe dovuto essere oggetto della relativa dichiarazione fiscale che, invece, era stata omessa dall'imputato.
La decisione è stata confermata anche dalla Corte di cassazione, con sentenza n. 23837 del 21 giugno 2022, in quanto ritenuta "congruamente e logicamente motivata in fatto, è corretta in punto di diritto".
Sul punto, gli Ermellini hanno ricordato che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la caparra confirmatoria risponde ad autonome funzioni:
E mentre nell'ipotesi di regolare adempimento del contratto preliminare, la caparra è imputata sul prezzo dei beni oggetto dei definitivi, assoggettabili ad Iva, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo dell'imposta, in base all'art. 6, comma 4, DPR n. 633/1972 "l'inadempimento ne propizia il trattenimento, che serve a risarcire il promittente venditore".
L'esenzione dal pagamento dell'IVA non esclude, però, che la somma trattenuta a titolo di risarcimento forfettario per l'inadempimento dell'obbligo di stipula del contratto definitivo rientri nel concetto di "reddito prodotto", perché riferibile ad un danno forfettariamente determinato, comprensivo di un lucro cessante essendo rimasto il bene immobile nella disponibilità del percettore della caparra.
Per la Cassazione, in definitiva, la penale è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione principale rimasta ineseguita (ossia la cessione dell'immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell'art. 67, comma 1, del Tuir.
Nella specie, quindi, la somma incamerata dall'imputato costituiva il risarcimento della perdita di proventi che, per loro natura, avrebbero generato redditi tassabili per un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi dell'art. 67 menzionato.
Correttamente, quindi, la Corte territoriale aveva ritenuto integrato il reato contestato.
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