In caso di omesso svolgimento, da parte del professionista, di un'attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, si applica la regola della preponderanza dell'evidenza, o "del più probabile che non", sia ai fini dell'accertamento del nesso di causalità fra l'omissione e l'evento di danno, sia ai fini dell'accertamento del nesso tra quest'ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili.
Poiché, infatti, si tratta di un evento che non si è verificato proprio a causa dell'omissione, lo stesso può essere indagato “solo mediante un giudizio prognostico sull'esito che avrebbe potuto avere l'attività professionale omessa”.
In questi casi, ossia, l’accertamento del nesso causale si estende, con gli stessi criteri probabilistici, anche alle conseguenze dannose risarcibili sul piano della causalità giuridica, ossia al mancato vantaggio che, qualora l’attività professionale fosse stata svolta con la dovuta diligenza, il cliente avrebbe conseguito.
Di questo danno, invero, non può richiedersi una prova rigorosa e certa, incompatibile con la natura di un accertamento necessariamente ipotetico, in quanto riferito a un evento non verificatosi, per l’appunto, a causa dell’omissione.
Così, nel caso di responsabilità professionale degli avvocati o dei commercialisti per aver omesso di procedere all’impugnazione di un atto, anche d’imposizione di tributi, ricorre l’ipotesi sopra indicata di omissione di una condotta che avrebbe potuto procurare un vantaggio all’assistito, con riferimento alla quale, dunque, il danno deve costituire oggetto di un accertamento prognostico.
Il vantaggio patrimoniale che il cliente/danneggiato avrebbe tratto dalla condotta del professionista, che invece è stata omessa, non si è realmente verificato e non può essere empiricamente accertato.
Nell specifico, l’esito del giudizio che si sarebbe dovuto intraprendere e rispetto al quale, invece, il professionista ha lasciato decorrere i termini, non può essere accertato in via diretta ma solo in via presuntiva e prognostica.
E’ quanto enunciato dalla Corte di cassazione, Terza sezione civile, nel testo della sentenza n. 25112 del 24 ottobre 2017, pronunciata nell’ambito di una vicenda in cui due avvocati erano stati convenuti in giudizio per l’accertamento della loro responsabilità per negligenza, in ordine alla mancata riassunzione di un giudizio di rinvio a seguito di cassazione, concernente un ricorso per licenziamento illegittimo, con conseguente prescrizione del diritto vantato dal loro assistito.
In primo grado, il Tribunale, pur riconoscendo una responsabilità professionale in capo ai due legali, aveva rigettato la connessa richiesta di risarcimento per mancanza di prova in ordine ai danni che il cliente asseriva di aver subito.
Detta statuizione era stata, però, rivista dalla Corte d’appello che, per contro, aveva liquidato, attraverso la formulazione di un giudizio prognostico, anche il danno a carico dei due.
Da qui, l’impugnazione, in sede di legittimità, avanzata dagli avvocati, i quali lamentavano, tra gli altri motivi, che l’affermazione della responsabilità professionale per condotta omissiva avrebbe dovuto essere preceduta dal raggiungimento della prova certa circa l’esito favorevole del giudizio di rinvio.
Motivo, questo, ritenuto non fondato dalla Suprema corte la quale, sul punto, dopo aver enunciato il principio di diritto sopra riportato, ha confermato la valutazione operata dalla Corte territoriale.
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