La presunzione di cui all'art. 32 D.p.r. 600/1973 - secondo cui sia i prelevamenti che i versamenti operati su conti correnti bancari, non annotati contabilmente, vanno imputati ai ricavi conseguiti nella propria attività, dal contribuente che non ne dimostri l’inclusione dalla base imponibile oppure l’estraneità alla produzione del reddito – si riferisce ai soli imprenditori e non anche ai lavoratori autonomi e professionisti intellettuali, essendo venuta meno, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 228/2014, la modifica alla citata disposizione normativa (apportata dalla Legge 311/2004).
Sicché, in sostanza, non è più sostenibile l’equiparazione, ai fini della presunzione, tra attività d’impresa e professionale.
Così argomentando, la Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, con due analoghe pronunce, ha dunque annullato degli avvisi di accertamento notificati a professionisti, con cui erano stati accertati maggiori redditi da attività libero professionale svolta dagli stessi.
Ai fini dell’accertamento fiscale, infatti, il reddito del professionista contribuente - secondo gli ermellini – non può essere ricostruito esclusivamente mediante presunzioni scaturenti da indagini bancarie (da cui, in uno dei casi trattati erano emersi versamenti ingiustificati, tuttavia motivati mediante l’alienazione di un immobile di famiglia), in ossequio al principio secondo cui l’Ufficio finanziario non può adottare, a supporto della ripresa a tassazione, tali sole risultanze, dovendole viceversa verificare sulla base di ulteriori elementi probatori.
E’ quanto emerge dalle pronunce della Corte Suprema n.ri 12779 e 12781, entrambe depositate il 21 giugno 2016.
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