La Cassazione ha respinto le doglianze sollevate dall’Agenzia delle Entrate rispetto ad una decisione con cui la CTR aveva confermato l’annullamento di avvisi di accertamento per gli anni 2005, 2006 e 2007, e i relativi atti di contestazione di sanzioni, con i quali erano rispettivamente recuperati a tassazione i maggiori redditi accertati negli anni di riferimento in base a detenzione di capitali in Paese a fiscalità privilegiata, in virtù della presunzione di cui all'articolo 12, comma 2, del convertito Decreto legge n. 78/2009.
Detta norma, si rammenta, sancisce che gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, non dichiarati, si presumono costituiti, ai soli fini fiscali e salva la prova contraria, mediante redditi sottratti a tassazione.
Come primo motivo di doglianza, l’Amministrazione finanziaria aveva lamentato l'erroneità in diritto della pronuncia impugnata nella parte in cui aveva ritenuto che l'articolo 12, comma 2, del citato decreto avesse natura sostanziale, con conseguente irretroattività e non applicabilità alle annualità precedenti la sua entrata in vigore.
Motivo, questo, ritenuto infondato dalla Suprema corte – ordinanza n. 2662 del 2 febbraio 2018 – la quale ha sottolineato come non potesse ritenersi condiviso l’assunto della ricorrente secondo cui la disposizione in oggetto avrebbe natura procedimentale.
La pretesa natura procedimentale della norma - si legge nelle motivazioni – “oltre a porsi in contrasto con il tradizionale criterio della sedes materiae”, porrebbe il contribuente in condizione di sfavore “pregiudicandone l'effettivo espletamento del diritto di difesa, in contrasto con i principi di cui agli artt. 3 e 24 Cost.”.
In definitiva, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato possono presumersi come redditi sottratti a tassazione solo a partire dal 2009, stante l’irretroattività della norma che disciplina questa presunzione.
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