“Postare” su Facebook non è un’attività del tutto personale, dunque priva di tutela ai sensi del Codice della privacy. Anche sul proprio account personale, difatti, si può realizzare una illecita divulgazione di dati, dal momento che un post pubblicato sul social network, anche se in un profilo “chiuso”, non è mai riservato ai soli “amici”, ma ad un numero indeterminato di utenti.
Sulla base di tale assunto, il Garante per la protezione dei dati personali, con Provvedimento del 23 febbraio 2017, ha ordinato ad una donna – su richiesta dell’ex marito - la rimozione di due sentenze postate sul proprio profilo Facebook, riguardanti la cessazione degli effetti civili del matrimonio e contenenti delicati aspetti di vita familiare, anche con riguardo alla figlia minorenne. L’ex marito lamentava in particolare, che detta divulgazione realizzasse un’indebita violazione della riservatezza della figlia, in contrasto con quanto stabilito dal Codice della privacy.
Il Garante ha accolto la richiesta dell’uomo, fornendo in proposito un’interpretazione del Codice privacy alla luce dell’evoluzione tecnologica e della enorme diffusione dei social network, strutturati per consentire comunicazioni sistematiche con estrema facilità.
Per cui non è possibile provare, secondo l’Autorità, la natura chiusa del profilo e la sua accessibilità ad un numero ristretto di “amici”, in ragione del fatto che esso è agevolmente modificabile - da “chiuso” ad “aperto” - in qualsiasi momento dal titolare. Inoltre vi è la possibilità per qualunque “amico” ammesso al profilo stesso, di condividere sulla propria pagina il post, rendendolo così visibile ad altri utenti (potenzialmente, tutti quelli di Facebook).
Né a soluzione diversa potrebbe indurre la circostanza – peraltro nel caso de quo solo asserita e non provata – che la visibilità del post fosse ristretta ai soli “amici” partecipi al profilo, dal momento che il loro numero, stante la sistematicità della comunicazione, è comunque suscettibile di continui incrementi anche in poco tempo.
Alla luce di ciò, nel caso di specie, la divulgazione dei provvedimenti giurisdizionali in esame, deve ritenersi senz'altro incompatibile con il divieto di pubblicazione “con qualsiasi mezzo” – di cui al Codice privacy- di notizie idonee a consentire l’identificazione di un minore coinvolto, a qualsiasi titolo, in procedimenti giudiziari.
Oltretutto – specifica il Garante – la divulgazione dei dati via internet aggrava notevolmente la violazione dei diritti dell’interessato (in questo caso poi, una minore); e questo perché le regole della privacy, in tale sede, possono non essere applicate correttamente dall'utente o, ancor peggio, aggirate da navigatori esperti.
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