La contestazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale non preclude l'applicabilità dell'istituto della messa alla prova, qualora il reato contestato sia punito con sanzione edittale non superiore, nel massimo, a quattro anni di reclusione.
E' quanto dedotto dalla Corte di Cassazione, quarta sezione penale, con sentenza n. 32787 depositata il 27 luglio 2015, nell'accogliere il ricorso di un indagato per traffico e detenzione di stupefacenti, avverso il provvedimento con cui il Gup aveva rigettato la sua istanza di messa alla prova, in ragione della contestata aggravante speciale ex art. 80 lett. a) D.p.r. 309/1990 (T.U. Stupefacenti).
Lamentava in particolare il ricorrente, come, per accedere richiesto rito alternativo ex L. 67/2014, fosse richiesta la punibilità del reato con pena detentiva non superiore, nel massimo, a quattro anni, senza che potesse incidere – ai fini delle valutazione di tale presupposto – la sussistenza di eventuali circostanze aggravanti, anche ad effetto speciale.
Nell'accogliere la censura, la Cassazione ha precisato che proprio la finalità deflattiva perseguita dal legislatore con L. 67/2014 – mediante individuazione di una nuova ipotesi di estinzione del reato – impone di interpretare la norma secondo lo stretto tenore letterale. E l'art. 168 bis comma 1 c.p., condiziona l'istituto della messa alla prova alla sola pena detentiva non superiore a quattro anni (momento edittale di riferimento), senza alcuna previsione esplicita sull'incidenza di eventuali aggravanti.
D'altra parte – ha poi chiarito la Suprema Corte – laddove il legislatore ha inteso tener conto delle circostanze aggravanti, lo ha espressamente disposto (ad esempio, art. 57 c.p. in tema di prescrizione; art. 278 c.p.p. in tema di misure cautelari).
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