Le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto, dal giudice, in base ai criteri di gravità del reato, di cui all'articolo 133 del Codice penale.
E’ quanto stabilito dalle Sezioni Unite penali di Cassazione nel testo della sentenza n. 28910 del 3 luglio 2019, nella quale hanno ritenuto di dover superare il proprio precedente arresto in materia di pene accessorie, per come espresso nella sentenza n. 6240/2015.
Secondo le Sezioni Unite, detto indirizzo interpretativo - che vedeva le sanzioni accessorie equiparate a quelle principali - deve essere superato, poiché gli argomenti addotti a sostegno della soluzione proposta, “pur pregevoli, non meritano condivisione”.
Prendendo in rilievo la decisione della Consulta n. 222/2018, gli Ermellini hanno ritenuto che la regola della equiparazione meccanica della durata della pena accessoria a quella della pena principale in concreto inflitta debba assumere, piuttosto, una funzione residuale, “cui fare ricorso nei casi in cui la legge in astratto sia priva di qualsiasi indicazione sul profilo temporale che circoscriva e guidi l'esercizio del potere dosimetrico del giudice”.
Dovendosi, quindi, procedere sulla base dei criteri di cui all’articolo 133 c.p., per le pene accessorie per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, il giudice dovrà ora tenere conto della gravità del reato, desumibile:
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