E’ infondata la questione di illegittimità costituzionale dell’art. 13 bis del D.Lgs. n. 74/2000, nella parte in cui prevede, per i delitti in materia tributaria dal medesimo Decreto sanzionati, che le parti possano richiedere l’applicazione della pena ai sensi dell’art. 444 c.p.p. (c.d. patteggiamento) solo nel caso di estinzione, mediante pagamento dei debiti tributari relativi ai fatti costitutivi dei predetti delitti.
Come la Consulta ha già avuto modo di affermare, la negazione legislativa di tale rito alternativo, non vulnera il nucleo del diritto di difesa, giacché la facoltà di chiedere l’applicazione della pena, peraltro esclusa per un largo numero di reati, non può essere considerata condicio sine qua non per un efficace tutela della posizione giuridica dell’imputato.
Inoltre l’onere patrimoniale imposto, non genera alcuna disparità di trattamento, perché risulta giustificato da ragioni obiettive, ossia dal generale interesse alla eliminazione delle conseguenze dannose del reato, anche per il valore sintomatico del ravvedimento del reo, oltre che dello specifico interesse all'integrale riscossione dei tributi.
E’ quanto si legge nella sentenza n. 38210 del primo agosto 2017, con cui la Corte Costituzionale, terza sezione penale, ha respinto il ricorso del titolare di una ditta individuale, condannato alla reclusione – ed alle sanzione accessorie - per aver emesso fatture per operazioni inesistenti, al fine di evadere le imposte. Avverso la propria condanna, in particolare, l’imputato adduceva di essere stato costretto nelle proprie scelte difensive (di aver optato per il giudizio abbreviato piuttosto che per il patteggiamento, con conseguente vulnus del proprio diritto di difesa), stante la previsione dei suindicato art. 13 bis, di cui per l’appunto censurava, senza successo, la legittimità costituzionale.
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