E’ contraria alle norme dell’Unione europea una normativa nazionale che neghi automaticamente la concessione di un permesso di soggiorno per il solo motivo che il richiedente, cittadino di uno Stato terzo, abbia dei precedenti penali, quando lo stesso sia genitore di un minore cittadino dell’Unione che è a suo carico e con cui risiede nel Paese membro ospitante.
Ai sensi dell’articolo 20 del TFUE, inoltre, non può essere disposta l’espulsione dal territorio di una Stato membro di un cittadino di uno Stato terzo che abbia subito una condanna penale, quando tale soggetto abbia la custodia effettiva del figlio minorenne in tenera età, cittadino dello Stato membro, allorché l’espulsione dell’interessato obblighi il minore ad abbandonare il territorio dell’Unione europea, “così privandolo del godimento effettivo del nucleo essenziale dei suoi diritti in quanto cittadino dell’Unione”.
Solo in circostanze eccezionali, può essere adottata una misura di espulsione, a condizione, tuttavia, che essa sia fondata su una condotta personale del cittadino extra Ue di minaccia reale, attuale e sufficientemente grave tale da pregiudicare un interesse fondamentale della società, e che si basi su una presa in considerazione dei diversi interessi esistenti, circostanza che spetta al giudice nazionale verificare.
E’ quanto precisato dai giudici della Corte di giustizia dell’Unione europea con due sentenze depositate il 13 settembre 2016 rispettivamente riferite alle cause n. C-165/14 e n. C-304/14 e che vertevano sulla corretta interpretazione dell’articolo 21 TFUE e della direttiva 2004/38/CE in un caso, e dell’articolo 20 TFUE nell’altro.
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