La Corte di cassazione ha confermato l’ingiunzione di pagamento ottenuta da un commercialista nei confronti di una propria cliente a titolo di saldo dei compensi maturati per l'attività professionale espletata nell'interesse dell'intimata.
In primo grado, il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo opposto, assumendo che, a fronte delle contestazioni dell’opponente, il creditore non aveva offerto la prova che la cliente avesse riconosciuto il debito professionale in esame.
La decisione, tuttavia, era stata ribaltata in sede di gravame: i giudici di appello, in particolare, avevano rilevato che la donna non aveva contestato di avere ricevuto le prestazioni oggetto della richiesta di pagamento e regolarmente fatturate, avendo solo sostenuto che per la natura dell'attività svolta il compenso richiesto fosse elevato, e ciò non già in relazione alle tariffe professionali bensì alle tariffe applicate da altri professionisti.
La cliente si era quindi rivolta alla Suprema corte, lamentando, tra gli altri motivi, una violazione e falsa applicazione degli artt. 1988, 2720 e 2697 c.c. per avere, la sentenza di secondo grado, ritenuto che il debito fosse stato riconosciuto, e ciò anche a fronte di una modifica degli accordi sul compenso intervenuta nel corso del rapporto professionale.
Secondo la sua difesa, anche se il Tribunale aveva correttamente stabilito che fosse onere del creditore fornire la prova del proprio diritto, i giudici di appello avevano inopinatamente esonerato quest'ultimo dall'onere della prova, sul presupposto che non fosse contestata l'esistenza del rapporto professionale tra le parti.
A suo dire, invece, anche ammettendo l'esistenza di tale rapporto, restava a carico del professionista, a fronte delle contestazioni dell'opponente, l'onere di dimostrare la natura, la quantità e la tariffa applicata.
La Corte di cassazione, con ordinanza n. 28201 del 10 dicembre 2020, ha respinto l’impugnazione della ricorrente, compresa tale ultima doglianza: essa, senza minare la circostanza dell’effettivo svolgimento delle prestazioni, si fondava sulla pretesa retroattività della riduzione del compenso, e ciò sul presupposto che la nuova somma convenuta dovesse essere calcolata anche per le prestazioni anteriori.
Tale conclusione, a ben vedere, scaturiva da una diversa ricostruzione in fatto della vicenda che era in contrasto con quanto invece in concreto accertato dai giudici di merito e preclusa in sede di legittimità.
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