Nel delitto di utilizzazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, il dolo è ravvisabile qualora l’agente abbia piena conoscenza del complessivo meccanismo fraudolento posto in essere.
L’elemento soggettivo è, ossia, riscontrabile nella consapevolezza, in capo a chi utilizzi il documento in dichiarazione, che colui che ha effettivamente reso la prestazione non ha provveduto alla fatturazione del corrispettivo versato dall’emittente, conseguendo in questo modo un indebito vantaggio fiscale, in quanto l’Iva versata dall’utilizzatore della fattura non è stata pagata all’esecutore della prestazione.
E’ quanto sottolineato dalla Suprema corte nel testo della sentenza n. 39541 del 30 agosto 2017, con la quale è stata confermata la condanna impartita per il reato di utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti al legale rappresentante di una Srl, il quale si era opposto alla detta statuizione di merito deducendo, tra gli altri motivi, l’insussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico di evasione delle imposte.
La Corte di cassazione, dichiarando inammissibile l’impugnazione, ha aderito alle conclusioni già rese dalla Corte territoriale.
La medesima, diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, aveva infatti dato ampiamente conto delle ragioni della sussistenza del dolo in capo all’agente, ed ossia che lo stesso aveva piena consapevolezza del meccanismo frodatorio realizzato.
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