La misura degli onorari dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalla liquidazione contenuta nella sentenza che condanna l'altra parte al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio.
Solo un’inequivoca rinuncia del legale ad un maggiore compenso potrebbe impedire a quest’ultimo di pretendere onorari maggiori e diversi da quelli liquidati in sentenza.
Una rinuncia, questa, che non può essere certamente desunta dalla mera accettazione della somma corrisposta dal cliente per spese, diritti ed onorari, nella misura liquidata in sentenza e posta a carico dell'altra parte, qualora non risulti, in concreto, che la somma sia stata accettata a saldo di ogni credito per tale titolo.
Difatti, la sentenza che provvede alla liquidazione delle spese giudiziali non ha efficacia, ovvero non è vincolante, nei confronti dell'avvocato.
Ciò, per l'assorbente ragione che lo stesso legale non è “parte del giudizio”, né in quel giudizio, sia pure relativamente alla liquidazione delle spese della causa, può dedurre specifiche considerazioni.
E’ quanto precisato dalla Corte di cassazione, Sesta sezione civile, con ordinanza n. 25992 del 17 ottobre 2018.
In questa pronuncia, gli Ermellini hanno anche evidenziato come i principi enunciati vadano confermati anche dopo l'entrata in vigore della Legge professionale forense n. 247/2012 con la quale è stato definito il passaggio dal sistema tariffario a quello dei parametri.
La nuova legge – si legge nella decisione - non solo non ha superato (e non poteva superare) il principio generale relativo ai limiti soggettivi della sentenza secondo il quale l'avvocato non è parte del giudizio che ha determinato la liquidazione delle spese giudiziali.
La stessa consente anche di confermare il principio relativo al diverso fondamento dell'obbligo di pagamento degli onorari che, per il cliente, riposa nel contratto di prestazione d'opera e, per la parte soccombente, nel principio di causalità.
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